Strauss-Khan, il caso non è chiuso

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Fu un enorme abbaglio, anzi un complotto, come la sinistra perbene francese sentenziò fin da subito e lo stesso Strauss Khan aveva profetizzato scherzando col fuoco della sua «passione per le donne», anzi un’americanata spettacolare con i media di tutto il mondo al seguito, come subito si affannarono a dire i soliti difensori della privacy perduta degli uomini potenti. Una cameriera che entra in una suite lussuosa senza neanche chiedere permesso, il presidente dell’Fmi che spunta nudo dal bagno, la violenta in 9 minuti, si riveste e s’infila in un taxi per l’aeroporto: come si poteva credere a questa storia? Il procuratore Vance, che all’inizio ci credette, a un certo punto è tornato in sé: che sia o no credibile la storia, è la donna che la racconta a non essere credibile. Le è già  capitato di mentire, ergo mente anche stavolta. Non fu violentata, era consenziente. Il caso è archiviato, su richiesta della procura e per decisione della corte. Ma non è chiuso.
Non solo per la difesa di Nafissatu Diallo, che sporge ricorso, urla contro la trasformazione della vittima in imputata, snocciola una a una la «montagna di prove fisiche» che attestano lo stupro, contesta la risibile ipotesi che in 9 minuti un signore possa sedurre una sconosciuta e convincerla ad avere con lui un «rapporto consenziente». Non è chiuso, il caso, politicamente: anzi si riapre. Su due fronti.
Primo fronte. La costruzione della non-credibilità  delle vittime di violenza sessuale, antichissima arma in mano agli stupratori d’ogni risma e ai loro difensori, è diventata l’ultima trincea della lotta degli uomini potenti contro qualsiasi donna in grado di testimoniare i loro abusi sessuali, che si tratti di stupro o di bunga bunga, di reati penalmente perseguibili o di perversioni penalmente inattaccabili. Ne sappiamo qualcosa dal Berlusconi-gate, in cui a nessuna delle testimoni coinvolte è stata risparmiata la presunzione di inaffidabilità , instabilità , labilità , ars manipolatoria e quant’altro. Siccome le donne parlano e non tacciono più, e siccome non le si può zittire o internare come si faceva un tempo, le si bolla come non-credibili. E’ una violenza pari a quella dello stupro, perché non meno dello stupro punta a colpirne l’esistenza, il senso di sé, la sicurezza, l’autostima. Ma chi decide, e come, la credibilità  di una donna? La parola di una donna nera, immigrata, socialmente disagiata, viene valutata con gli stessi criteri di quella di un uomo bianco, potente, ricco, prestigioso con al fianco una moglie bianca, potente, ricca e prestigiosa come Anne Sinclair, che non esce da questa vicenda meglio di suo marito? Una donna che abbia mentito sulla sua vita passata, è perciò stesso una mentitrice quando accusa un uomo di averla stuprata? Per essere credibile, una donna deve essere irreprensibile? E perché la condizione dell’irreprensibilità  scatta solo per le donne, in una sfera pubblica in cui gli uomini, e in specie gli uomini di potere, dicono e si contraddicono col plauso del pubblico? Quanto possono le disparità  di potere contro le premesse e le promesse egualitarie della legalità  democratica e del garantismo giuridico?
Secondo fronte. L’automatismo con cui, archiviato il caso penale, viene data per riaperta la carriera politica di Strauss Khan è, questo sì, incredibile. Come altri re, anche questo è ormai nudo. Altre testimoni – anche loro inattendibili? – ne hanno smascherato abitudini e ossessioni nel rapporto con l’altro sesso. E quel che resta della sinistra francese avrà  pure qualcosa da dire e da ridire sullo stile «di classe» del suo modo di stare al mondo, quantomai esibito e fatto valere dal 15 maggio in poi fra domicili lussuosi e menu esclusivi. Né è dal sostegno di un uomo siffatto che le altre due candidate socialiste all’Eliseo possono aspettarsi dei vantaggi. La politica ha ancora delle ragioni che una corte di giustizia non conosce.


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