Tutti insieme inutilmente

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 Riunione inutile, dunque affollata. Ci saranno tutti giovedì mattina nella sala del Mappamondo alla camera dei deputati ad ascoltare il ministro Tremonti. Non solo i componenti delle commissioni affari costituzionali e bilancio di camera e senato (150 parlamentari) ma anche i segretari dei partiti con i vice, i capigruppo e tutti quelli più o meno utili che vorranno dare il loro contributo di presenza. L’evento è decisamente di quelli in cui si nota di più chi non c’è rispetto a chi c’è. Si torna a lavorare d’agosto e con poco impegno (e zero spesa) l’onorevole può timbrare il cartellino anti-casta. Così Alfano, Casini, Di Pietro, Rutelli ci saranno e ci sarà  anche Bersani con tutto lo stato maggiore del Pd. In aggiunta, non in sostituzione di altri parlamentari perché tanto non c’è niente da votare. Due tre ore e ci si rivede a settembre.

Nell’intenzione del Pd, bisognerà  incastrare il ministro dell’economia sulle responsabilità  del governo. Tremonti dovrà  dare delle risposte sul «commissariamento» europeo e su dove pensa di trovare i venti miliardi che mancano. «Attendiamo proposte concrete nell’interesse del paese», ha detto ieri il deputato democratico Boccia. Ma non andrà  così. L’adunata dei parlamentari è stata convocato per un’altra ragione, per consentire a Tremonti di «riferire sulla riforma dell’art. 81 della Costituzione». Riferire, nemmeno presentare un disegno di legge perché il Consiglio dei ministri non ne ha parlato, tutto quello che si sa è uscito da una conferenza stampa. Una volta ascoltato il ministro, e dichiarato qualcosa alla stampa, poi, gli onorevoli dovranno ricominciare da zero se e quando un testo di legge arriverà  in parlamento (alla camera, ha detto Gianni Letta). Dopo le ferie, con calma. Più utile sarebbe stato far lavorare d’estate le commissioni competenti di Montecitorio in sede referente su una proposta del governo o del parlamento (sull’articolo 81 non mancano, ce n’è persino una di uno svelto senatore Pdl che l’ha presentata cinque giorni fa). Ma certo si sarebbe notato di meno.
Tutto questo ammesso che la riforma dell’articolo 81 della Costituzione sia fattibile.
Secondo il senatore Morando del Pd (Sole 24 Ore di domenica scorsa) è così: il vincolo del pareggio di bilancio può essere scritto in Costituzione velocemente, addirittura nei tre mesi minimi previsti dalla procedura di revisione costituzionale. Senza ostruzionismo e senza referendum confermativo perché è una riforma che trova tutti d’accordo. È d’accordo anche una altro senatore del Pd, Stefano Ceccanti, costituzionalista, che pure fa notare come il governo sia in ritardo perché già  a marzo con il patto Euro plus si era impegnato a recepire il vincolo del pareggio di bilancio previsto dalle regole del bilancio Ue – anche se non necessariamente con una legge costituzionale. Secondo Ceccanti va bene dunque la riunione di giovedì, ma il parlamento dovrebbe contemporaneamente dare un segnale agli elettori, per esempio mettendo in calendario un’altra modifica costituzionale: la riduzione dei parlamentari.
Invece, sostiene il responsabile economia e lavoro del Pd, Stefano Fassina, l’idea di modificare l’articolo 81 della Costituzione per introdurre il vincolo del bilancio in pareggio è completamente sbagliata. «La politica economica nazionale deve poter conservare una sua autonomia», ragiona Fassina, secondo il quale questo è l’orientamento del Pd e chi è invece favorevole alla riforma «parla a titolo personale». «Dopo aver rinunciato alla politica monetaria (con la moneta unica europea) – aggiunge Fassina – decidere di rinunciare anche alle politiche di bilancio vorrebbe praticamente dire che la politica non deve occuparsi tout court di economia». Che poi è quello che in qualche modo il governo cerca di dire, quando propone anche una seconda riforma costituzionale per stravolgere l’articolo 41 e scrivere che nell’attività  economica «tutto quello che non è proibito è lecito». Una riforma, quest’altra, tanto estremista e sgangherata che è impossibile trovare qualcuno nel Pd disposto ad accettarla.
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MARIO MONTI Il presidente della Bocconi alla guida di un governo tecnico? «A me come cittadino piacciono i governi politici», risponde al Tg5 l’interessato. Ma in caso di emergenza risponderebbe sì? «L’emergenza spero venga presto superata, di chiamata spero proprio che non ci sia bisogno – dice ancora Monti – Se avessi sentito imperativa dentro di me la vocazione di far parte di governi, avrei risposto di sì alla richiesta del centrosinistra, della Lega e del presidente Scalfaro dopo il ribaltone di fine 94 di guidare un nuovo governo. Ma risposi che sarei stato disponibile solo se anche il centrodestra di Berlusconi avesse dato il suo appoggio. Allo stesso modo ho rifiutato l’offerta dello stesso Berlusconi di fare il ministro degli Esteri nel 2001 e di sostituire Tremonti all’economia nel 2004».


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