Fed e Bce non hanno più armi è la capitolazione dei mercati

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NEW YORK. ANCHE le banche centrali sono impotenti. Viviamo in un incubo da cui ci sveglieremo solo nel 2015? I mercati ieri hanno ceduto alla disperazione. Giù tutto, perfino l’oro, perché nella sfiducia generalizzata anche il metallo giallo è stato venduto per incassare liquidità . Da mettere sotto il materasso, ovvero in titoli decennali del Tesoro americano o tedesco, l’ultimo rifugio in tempi così bui. Il 2015 è l’orizzonte, se si avvera la “profezia di Kenneth Rogoff”.
Ovvero la “profezia” secondo la quale la Grande Contrazione iniziata nel 2008 è così grave che possono essere necessari fino a 7 anni per smaltire tutte le tossine accumulate nel sistema economico. Nelle ultime 48 ore una catena di eventi ha contribuito a rendere verosimile quella profezia. Tutti insieme hanno contribuito alla capitolazione dei mercati.
Il salvataggio della Grecia è sempre incertissimo, e i mercati non sanno neppure più se augurarselo: forse è meglio “morire subito”, rispetto a questa interminabile agonia? Le banche europee di conseguenza vagano come degli zombi. Hanno bilanci pieni di Pigs-bond che sono quasi carta straccia: forse ormai solo un piano Paulson (700 miliardi di dollari, gli aiuti Usa per salvare le banche nell’autunno-inverno 2008) o addirittura delle nazionalizzazioni possono scongiurare i crac bancari?
Le prospettive della ripresa americana sono sempre più lontane, lo ammette la stessa Federal Reserve in una delle analisi più pessimiste degli ultimi anni. Ora perfino la Cina rallenta, la produzione è in calo nella seconda economia mondiale che era rimasta l’unica locomotiva della crescita globale. A completare il quadro, abbiamo perso fiducia negli stregoni della moneta. Sullo sfondo di questo giovedì nero si staglia infatti una constatazione drammatica: perfino le banche centrali sono disarmate.
La Bce interviene sui mercati da più di un mese ormai, a comprare titoli del Tesoro italiani e spagnoli. Questo non impedisce che la forbice dei rendimenti tra i nostri e i Bund tedeschi tocchi nuovi massimi: è la prova che la Bce non ha poteri miracolosi di fronte al contagio della sfiducia. Lo stesso da ieri si può dire della Federal Reserve. La banca centrale americana mercoledì ha annunciato l’ennesima stregoneria finanziaria, l’Operazione Twist: nei prossimi 9 mesi spenderà  400 miliardi di dollari per acquistare titoli del Tesoro a lunga scadenza, così da far scendere i tassi sui mutui e altri prestiti.
I mercati di solito adorano questi trucchi di ingegneria finanziaria che creano illusioni e bolle di liquidità , eccitanti almeno per qualche settimana. Stavolta niente, Wall Street è precipitata come le piazze europee. Si è perso ogni rispetto reverenziale per le banche centrali, 400 miliardi di munizioni della Fed non spostano neppure una seduta del New York Stock Exchange. Che cosa resta, se perfino le banche centrali sembrano dei vigili del fuoco circondati da un incendio troppo vasto per loro? «La mia fiducia diminuisce un pezzo alla volta, giorno dopo giorno», ammette il presidente della Banca mondiale, Robert Zoellick. I risparmiatori nell’angoscia hanno preso d’assalto il buono decennale del Tesoro Usa fino a farne scendere il rendimento al livello del 1940, alla vigilia dell’entrata degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale. L’euro ha perso l’1% sul dollaro in una sola giornata. Sono franate tante monete dei paesi emergenti, dalla Turchia alla Corea del Sud, senza una ragione precisa se non il riflesso pavloviano che porta a fuggire verso il vecchio dollaro quando si avverte che il pericolo è ai massimi. Eppure l’America non ha le caratteristiche ottimali di un “rifugio”. Proprio ieri il suo sistema politico impazzito ha dato di nuovo uno spettacolo sconfortante: i repubblicani hanno tentato di bloccare la legge che deve rifinanziare il bilancio dello Stato fino a novembre, con la pretesa che i fondi per la ricostruzione delle zone colpite da calamità  naturali siano compensati da altrettanti tagli di spesa. E’ la stessa destra che continua ad accusare Barack Obama di «istigazione alla lotta di classe», per una modesta proposta di equità  fiscale che equipari i milionari alle condizioni del lavoro dipendente.
Il mondo può permettersi che la politica economica americana sia paralizzata dalla campagna elettorale per i prossimi 14 mesi? I banchieri centrali, Ben Bernanke e Jean-Claude Trichet, hanno fatto capire da tempo che le loro munizioni si stanno esaurendo, e che tocca alle politiche di bilancio dei governi prendere di petto questa crisi: indicando un percorso credibile fatto di manovre pro-crescita nel breve termine (finché c’è recessione i debiti pubblici non scendono), seguite da serie misure di risanamento dei conti nel medio periodo. Invece di discutere di questo, l’eurozona non ha ancora deciso se sia meglio incidere subito “l’ascesso greco” o continuare con iniezioni analgesiche, dall’efficacia decrescente. Il downgrading delle banche italiane indica qual è la prossima pedina fragile, e nessuno sui ponti di comando sembra avere la più pallida idea di cosa sia la leadership in mezzo a una tempesta.


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