Gm “anticipa” Chrysler e firma con il sindacato

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NEW YORK – Un bonus da 5mila dollari. L’aumento in busta per gli operai assunti in deroga al vecchio contratto. Il richiamo di mezzo migliaio di licenziati. L’impegno a riaprire una fabbrica chiusa per la ristrutturazione dei costi. Il rientro negli Usa di posti di lavoro oggi sparsi in altri paesi. E un messaggio che suona come un avvertimento: «Quando General Motors soffriva i nostri associati hanno condiviso i sacrifici: ora che la compagnia è tornata a fare profitti i nostri associati vogliono condividere anche i successi».
Sì, sembra quasi una risposta alla lettera di Sergio Marchionne l’affermazione che Bob King ha sbandierato subito dopo l’annuncio dell’accordo tra sindacati e Gm. «Caro Bob abbiamo fallito» aveva scritto l’ad di Chyrsler al capo del potentissimo sindacato americano. Il manager italocanadese manifestava così la sua delusione per la “buca” data dalla controparte. Che invece di sedersi al suo tavolino aveva preferito presentarsi alla tavolata imbandita con Gm. Mica per niente: Marchionne aveva già  fatto intendere che c’era ben poco da condividere. Invece con la più grande delle Tre Big di Detroit adesso il Re del sindacato ha strappato un contratto-simbolo. Il primo a tre anni dal salvataggio dell’industria dell’auto che resta uno dei grandi successi di Barack Obama. Il primo a porre le basi della contrattazione post-emergenza. Da Ford appunto a Chrysler gli altri dovranno adattarsi: 26mila dipendenti dell’azienda salvata dalla Fiat saranno mica da meno dei 46mila della General Motors.
La bozza strappata venerdi notte dovrà  essere approvata dalle assemblee che cominceranno a essere convocate a Detroit da martedì. Ma i paletti per la trattativa con chi non voleva cedere sono già  fissati. Non ci sono particolari ufficiali ma il sindacato avrebbe portato a casa l’aumento di 2 dollari per i nuovi assunti: negli anni della crisi la paga era stata dimezzata da 28 a 14 dollari l’ora creando in pratica due categorie di lavoratori di serie A e serie B. Siamo ancora lontani dalla parificazione. Ma sono il principio della divisione degli utili e soprattutto la resistenza all’abbattimento dei costi del welfare a contare di più.
King ha parlato di «nuovo approccio in questi tempi di globalizzazione e di incertezza economica». Che però per l’auto sembrano un po’ meno incerti: almeno in America e al contrario dell’Italia dove le vendite Fiat sono crollate quest’estate fino al 10 per cento. Dopo aver ripagato in anticipo il governo (e con interessi miliardari) Gm negli ultimi due anni ha annunciato un piano di investimenti per più di 5 miliardi e la creazione di migliaia di nuovi posti di lavoro. L’accordo ora è una piattaforma imprescindibile per gli oltre 120mila lavoratori di tutte le Tre Big. E Harley Shaiken – esperto del lavoro dell’università  della California – ha sottolineato al New York Times soprattutto l’importanza «del riportare a casa i posti di lavoro dagli altri paesi: in questo clima la creazione di nuovi posti di lavoro non è per niente una conquista da poco».
Certo la considerevole partecipazione nella società  dei fondi pensione del sindacato ha favorito l’intesa. I lavoratori di Gm avevano già  ottenuto un bonus da 4 mila dollari all’inizio dell’anno dopo i risultati-boom. E King aveva messo in chiaro che la cifra sarebbe dovuto essere superiore se gli operai avessero rinunciato all’aumento contrattuale. Anche da qui passano le “strade creative” della contrattazione per l’abbattimento dei costi che ora la vicepresidente Gm Cathy Clegg sbandiera. La Chrysler e soprattutto la Ford – dove la trattativa sembrava ancora più lontana – sono avvisate.


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