Il pontefice in un cordone sanitario

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 BERLINO.Il papa Benedetto XVI è già  venuto due volte in Germania, nel 2005 e nel 2006. La visita di ieri è la prima “ufficiale”, come capo di uno stato estero. Di qui le assai marziali e poco cristiane 21 salve di cannone esplose al suo arrivo all’aeroporto di Tegel, dove le massime autorità  della Repubblica federale tedesca erano a attenderlo. Di qui gli onori militari resigli nel parco del palazzo di Bellevue, sede della presidenza della repubblica, con tanto di inni intonati dalla banda. Di qui infine l’invito a parlare al Bundestag, come si usa fare per rendere un maggio particolarmente solenne ai politici in visita.

Ma il ruolo di sovrano sui pochi ettari della città  del Vaticano sta stretto al leader di una religione mondiale, che ovviamente non perde l’occasione di evangelizzare una Germania sempre più laica e aconfessionale, senza però rinunciare ai privilegi che gli vengono dal suo status politico terreno.
Nel saluto rivolto a una scelta platea di ospiti di riguardo nel parco di Bellevue ha voluto indossare anche i panni di pastore: «La mia prima visita ufficiale certo rafforzerà  i legami tra la Repubblica federale tedesca e la Santa sede. Ma io sono venuto soprattutto per incontrare persone e per parlare con loro di dio». Il guaio è, però, che incontrare il papa o anche solo vederlo è praticamente impossibile per comuni mortali, che non siano autorità  politiche, deputati, o fedeli seguaci accreditati dalle loro parrocchie per la messa serale allo stadio olimpico.
Intorno ai luoghi visitati dal papa, e lungo le strade che li collegano, la polizia ha creato un deserto. Sulle vie percorse dal corteo di decine di auto blu, col papa e il suo numeroso seguito, non si vedono passanti. Solo agenti di polizia ogni venti metri, a guardare in su verso le finestre per assicurarsi che siano chiuse.
Non sembra molto verosimile che la scelta di isolare rigidamente la città  dal papa sia stata dettata da un serio rischio di attentati alla sua incolumità . Piuttosto la preoccupazione dell’episcopato era che si ripetessero le scene di protesta del 1996, quando il papamobil di Giovanni Paolo II venne preso a bersaglio con palloncini pieni di vernice alla Porta di Brandeburgo. Il corteo antipapista c’è stato lo stesso, molto più affollato di quello di 15 anni fa, ma lontano dagli occhi di Ratzinger.
Anche al Bundestag ci si è affannati a riempire per quanto possibile i vuoti lasciati in sala da circa un centinaio di deputati, socialdemocratici, verdi e socialisti, che consideravano l’invito al papa una inaccettabile violazione della neutralità  confessionale dello stato. Nelle ultime file del settore solitamente occupato dai deputati della Linke si sono seduti prelati del seguito. E il presidente del parlamento, democristiano, ha invitato ex deputati ora in pensione a venire anche loro, e a sedersi non sulle logge per il pubblico, ma in sala.
Nonostante le manipolazioni ottiche, a uso e consumo del pubblico televisivo, non si è proprio trovato il modo di riempire lo stadio per la messa serale. L’impianto ospita normalmente 100mila visitatori. L’episcopato ne ha annunciati per il papa 70mila. E sebbene fossero rimasti comunque vuoti grossi spicchi a destra e a sinistra del palco dove era stato montato l’altare, i ranghi più alti non erano affatto pieni.
Al Bundestag il politico-pastore si è interrogato sui valori che consentono di distinguere «tra bene e male, tra diritto autentico e diritto apparente». Ratzinger ha certo ragione quando dice che «il criterio della maggioranza» non è sufficiente come bussola. Ne siamo convinti anche noi del manifesto, che a stare in minoranza e «dalla parte del torto» siamo abituati. Ma è un po’ curioso che a lamentare i limiti dei sistemi democratico-parlamentari sia l’ultimo monarca assoluto ancora regnante in Europa.
La bussola per Ratzinger può venire solo da un ancoraggio dell’etica nella natura e nella ragione, a condizione di prendere entrambe non in un’accezione «positivista», ma come rispecchiamento di un logos divino che a entrambe sarebbe sotteso. Guai se il diritto positivo travalica i paletti del «diritto naturale», di cui Ratzinger postula l’esistenza e che – guarda caso – finisce per coincidere nell’interpretazione papale con la morale cattolica.
Dunque niente di nuovo sul piano dogmatico, anche se è forse interessante notare che stavolta Ratzinger non ha lanciato i suoi strali contro il relativismo, ma contro «il positivismo», che tutto ridurrebbe a un visione funzionalistica e strumentale.
Se al Bundestag ha tenuto una lezione universitaria, ricca di dotti riferimenti alla storia della filosofia e alla filosofia del diritto, nella predica allo stadio ha usato toni e argomenti meno accademici. Il suo è stato un appello a restare fedeli alla chiesa, nonostante tutte le «persecuzioni». Perché la chiesa è qualcosa di più di una semplice organizzazione sociale come le altre, sebbene anche in essa ci siano «buoni e cattivi pesci, grano e gramigna». Voleva essere un riferimento allo scandalo degli abusi praticati dai preti pedofili. Qui il papa avrebbe dovuto il coraggio di essere più esplicito, senza parlare per metafore.


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