Il premier non si farà  interrogare

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ROMA — Nella partita contro il resto del mondo, Berlusconi è costretto al «catenaccio», gioca sulla difensiva nei palazzi della politica e in quelli della giustizia, convinto che sono i numeri in Parlamento la sua polizza sulla vita e che non c’è alcuno spazio per una mediazione nell’eterno scontro con la magistratura.
Perciò attenderà  il Consiglio dei ministri della prossima settimana per ufficializzare «alcuni nuovi innesti» nella squadra di governo e garantirsi così «una maggioranza ancor più forte alla Camera». Perciò sul «caso Tarantini» è determinato a non farsi interrogare dalla Procura di Napoli, siccome «non intendo legittimare un’inchiesta che è stata condotta con sistemi illegali».
Per Berlusconi, infatti, il problema non ruota attorno alle controversie procedurali, per certi versi non gli interessa più stabilire se i magistrati partenopei abbiano «competenza» sulla vicenda, se sia «legittimo impedire la presenza dei miei legali all’interrogatorio», se sia «lecito mettere dentro una persona accusata di estorsione senza prima aver parlato con chi sarebbe stato la vittima dell’estorsione».
Non è insomma una questione di metodi giudiziari, ma un conflitto politico, che a detta del Cavaliere si invera nella «gestione di intercettazioni che sono fuorilegge». E dunque anche la controversia con il Colle, rispetto all’ipotesi di un decreto legge ad hoc per bloccare la pubblicazione degli atti, è un modo per richiamare l’attenzione sulle storture di un «sistema ormai fuori controllo» e invocare l’intervento di chi è istituzionalmente chiamato a farlo: «Dov’è il Csm? Perché non interviene?».
Se così stanno le cose, è chiaro il motivo per cui Berlusconi non vuole incontrare i pubblici ministeri di Napoli e adotta il «catenaccio» sul fronte giudiziario e su quello politico. L’attacco gli appare «concentrico e strumentale», l’ennesimo tentativo di costringerlo alla resa. Ieri sosteneva di averne avuto la prova comparando le critiche rivolte alla manovra dalla presidente di Confindustria Marcegaglia, con gli elogi che invece il governo ha ricevuto dal vicecancelliere tedesco Rà¶sler per l’intervento sui conti pubblici.
Ora che il decreto economico è stato approvato dalle Camere — nonostante i timori di un declassamento dell’Italia da parte delle agenzie di rating, malgrado le tensioni sociali, gli scandali sessuali e le traversie giudiziarie — Berlusconi è certo che non scatterà  una trappola ai suoi danni, «non vedo pericoli imminenti» ha detto, e pertanto non teme di cadere. In Parlamento «i numeri sono destinati ad aumentare», secondo il coordinatore del Pdl, Verdini, che già  nei giorni scorsi accreditava quanto ieri il Cavaliere ha riferito ai ministri durante la riunione di governo.
Per irrobustire la maggioranza il premier ha promesso di «aggiornare la squadra di governo» con un paio di ingressi, per consolidare il rapporto ha promesso di cambiare la sua agenda: «D’ora in poi diraderò gli appuntamenti internazionali e verrò almeno un paio di giorni alla settimana in Parlamento». Ma c’è un motivo se ha dovuto rinviare i nuovi arrivi nel governo: la sua visione ottimistica del futuro deve fare i conti infatti con gli ostacoli che si frappongono al progetto.
Il primo, e più delicato, sarà  il voto della Camera sulla richiesta di arresto per l’ex consigliere politico di Tremonti, Milanese. La riunione che si è svolta ieri alla Camera — e alla quale hanno partecipato Berlusconi, Bossi e il ministro dell’Economia — è stata segnata da un clima di grande tensione: non c’è dubbio che il voto segreto in Aula potrebbe ribaltare il risultato ottenuto ieri in giunta, e non solo per i contrasti nella Lega, ma anche per la tentazione nel Pdl di regolare così i conti con il titolare di Via XX settembre.
Per questo, nonostante i proclami del premier, la maggioranza naviga a vista: il Parlamento sarà  pure la roccaforte di Berlusconi, ma fuori…


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