Nelle fabbriche bolognesi gli indignati di Cisl e Uil

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BOLOGNA – Alla Ducati, la fabbrica dei bolidi rossi made in Italy, tutti e quattro i delegati Cisl hanno scioperato per otto ore assieme alla Fiom. Contro una manovra «iniqua e ingiusta» e contro l’articolo 8, che definiscono «la goccia che ha fatto traboccare il vaso». E più o meno allo stesso modo hanno fatto alla Lamborghini, alla Saeco e in altre importanti fabbriche bolognesi, perché sono proprio gli operai della dare voce al malcontento che serpeggia dentro il sindacato di Bonanni. Qualcuno di loro poi ieri si è spinto fino in piazza con la Cgil, dove in una Piazza Maggiore tinta di rosso ha ricevuto anche il saluto dei “cugini” della Cgil dal palco.
Partita dalle grandi aziende meccaniche della montagna la rabbia dei “ribelli” della Cisl si è subito estesa ad alcune delle fabbriche maggiori. Tanto che ora il segretario locale delle tute blu Marino Mazzini promette scioperi «se la manovra non cambia», pur appoggiando la manifestazione che Cisl e Uil faranno davanti alla prefettura questo sabato per non pesare sulle tasche dei lavoratori e sui bilanci delle imprese. E a poco sono valsi gli appelli della casa madre, che continua a dire che lo sciopero in questo momento è da irresponsabili e che comunque i ribelli ci sono anche dall’altra parte, basta contarli.
«Ognuno ha le sue idee», commenta a denti stretti Emilio Vincenzi, delegato Fim alla Ducati convinto dall’articolo 8 a scioperare. E il collega Matteo Saglia, iscritto alla Uilm, sfilando in corteo, rincara la dose: «Oggi è giusto scioperare. Ci sono aspetti che toccano la vita di tutti noi, ben oltre lo scontro tra i sindacati confederali». Loro sono stati gli ultimi a decidersi dopo che adesioni simili erano già  state proclamate tra i duri e puri delle tute blu. «Abbiamo perso un’occasione per fare un’iniziativa unitaria», dice Stefano Stefanelli dalla Saeco, dove lo sciopero indetto ieri per quattro ore in uscita anche dalla Cisl ha ottenuto una «buona adesione». «La Cgil è voluta andare da sola e ha sbagliato perché insieme avremmo ottenuto risultati migliori, però noi abbiamo voluto comunque dare un segnale adesso», continua. «Arrabbiati è dir poco», spiega invece il delegato Fim della Oerlikon Olindo Cioni. «Non servono le bordate di Bonanni, dobbiamo recuperare l’unità  sindacale – continua – io amo fare il sindacalista ma non ci sto a passare come quello che fa da stampella a questo governo». E nascosti tra le bandiere della Cgil che ieri hanno sfilato per Bologna c’erano anche alcuni delegati e iscritti Cisl, specie tra i metalmeccanici. Come Alessandro Magnani della Kemet, fabbrica a rischio di chiusura, che si arrabbia: «Colpiscono sempre gli operai e i più deboli». Pochi e senza striscioni, anche se alla vigilia qualcuno prometteva di portarli, e spesso senza nomi, perché la faccia non sono ancora disposti a mettercela. «Ritenevo giusto farlo, ho la mia testa per pensare e stavolta non sono d’accordo col mio sindacato», spiega un’iscritta Cisl che lavora alla “Perla”, regno dell’intimo di lusso. Poi c’è Maurizio (il cognome non lo dice), 42 anni e operaio alla Lamborghini, che dietro allo striscione della Fiom spiega che un anno fa aveva strappato la tessera Cgil per iscriversi alla Cisl «per divergenze di opinioni politiche», ma che ora tornerà  «a casa, perché mi sbagliavo». «Mi dissocio da Bonanni – tuona convinto – sono in piazza perché era giusto dare un segnale forte, anche per responsabilità  civile. È ora di darci un taglio, non se ne può più».


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