Obama: “Contro la recessione 450 miliardi”

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NEW YORK – «Questo piano darà  uno scossone all’economia. Più lavoro per i disoccupati, sgravi ad ogni dipendente e alle aziende che assumono. Il mio American Jobs Act non aumenta il deficit, può ottenere i voti dei democratici e dei repubblicani. Il Congresso deve approvarlo subito, senza esitazioni». E’ con tono perentorio, quasi ultimativo, riscoprendo la grinta del Comandante capo, che Barack Obama ieri ha lanciato la sua manovra per la crescita e l’occupazione. 450 miliardi di dollari di investimenti pubblici, oltre il 2% di sgravi fiscali subito in busta paga: il presidente ha cercato di infondere un senso di emergenza, ha invocato l’unità  nazionale. Con un’economia che secondo il New York Times «ha il 50% di probabilità  di ricadere in recessione», il presidente ha scelto il formato più solenne e impegnativo per lanciare il suo piano per l’occupazione: un discorso a Camere riunite alle sette di sera, ora di massimo ascolto in tv. Per di più con un “traino” d’eccezione: mezz’ora dopo iniziava la stagione di football con la tradizionale impennata di audience televisiva. Effetti speciali a volontà , per tentare di bucare il muro di scetticismo: «Il presidente deve dimostrare di poter creare tanti posti di lavoro, se vuole salvare il suo», con questa nota amara lo ha presentato la rete tv Nbc. 450 miliardi di dollari oggi sembrano tanti, eppure sono poco più di metà  della maximanovra anti-recessione che lo stesso Obama fece approvare con velocità  record subito dopo il suo insediamento, a fine gennaio 2009. Altri tempi, un altro Congresso. I democratici allora avevano la maggioranza in tutt’e due i rami del Parlamento, il presidente fresco del trionfo elettorale aveva un’autorevolezza indiscussa. Da allora sono cambiate due cose. Primo: l’efficacia della manovra 2009 è risultata controversa, visto che l’America rimane inchiodata a un tasso di disoccupazione del 9,1%. Secondo: come contraccolpo nel novembre 2010 gli elettori hanno mandato alla Camera una maggioranza di destra; e al suo interno si è rafforzata la componente radicale del Tea Party, movimento anti-Stato e anti-tasse. E’ un presidente dimezzato, quello che ieri sera ha parlato al Congresso e alla nazione. Indebolito dall’ostruzionismo repubblicano, che gli nega i voti per qualsiasi riforma. Delegittimato dai sondaggi, dove ormai il 60% di americani “boccia” la sua gestione dell’economia. Eppure ieri sera Obama ha visto aprirsi uno spiraglio. La mossa tattica di inserire uno sgravio fiscale nella sua nuova manovra, è il cavallo di Troia per incunearsi dentro lo schieramento repubblicano. Alcuni parlamentari di destra hanno dato segni di apertura, compreso Eric Cantor che è il capogruppo alla Camera: «Sono sempre stato favorevole a ridurre le imposte in busta paga, se ne può parlare». Un caposaldo della manovra infatti è la proroga nello sconto di aliquota sul prelievo alla fonte che la Social Security opera sulle buste paga dei lavoratori dipendenti. Un regalo che vale mille dollari per nucleo familiare. Una boccata d’ossigeno, sia pure limitata, per il potere d’acquisto dei consumatori che langue. Lo stesso sconto Obama vuole estenderlo sulla parte a carico dei datori di lavoro, in modo da ridurre il “cuneo fiscale”, abbassare il costo del lavoro lordo, incentivare le assunzioni. “Jobs, jobs, jobs”, lavoro e ancora lavoro: nel discorso del presidente la priorità  è stata sottolineata in modo martellante. Alla destra anti-Stato, il presidente ha promesso rigore sui tagli al deficit. «La mia manovra non aggrava il deficit, ogni spesa è coperta», ha garantito ieri. Ieri s’insediava la speciale commissione bipartisan (sei senatori e sei deputati democratici e repubblicani) che entro novembre deve designare 1.200 miliardi di tagli al deficit decennale. Obama li ha incitati a fare ancora di più, per risanare i conti pubblici nel lungo termine e ridare credibilità  al Tesoro Usa “declassato” da Standard & Poor’s. Ma nell’immediato il segno della politica economica non può essere dato dai tagli: la ricaduta in recessione diventerebbe una certezza. Un recente studio della Federal Reserve descrive la situazione attuale dell’economia americana come un pericoloso “stallo”, analogo a quello che si verificò a metà  degli anni Trenta e nei primi anni Ottanta: subito seguito da una seconda recessione. Da oggi comincia il negoziato per racimolare qualche voto repubblicano in favore del piano-Obama. Intanto la Federal Reserve si prepara al peggio: la banca centrale studia una “Operazione Twist”, un cambio del suo portafoglio di titoli pubblici a vantaggio dei bond a più lunga scadenza. E’ una mossa estrema per schiacciare i tassi ancora più giù, sperando che qualche vantaggio arrivi al consumatore.


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