Strage nella fabbrica dei fuochi, sei morti

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ARPINO (Frosinone). Un boato che distrugge all’istante uno dei sei bunker di cemento di una fabbrica di fuochi d’artificio a pochi chilometri da Arpino, vicino Frosinone. Poi un secondo, tremendo scoppio, fiamme alte venti metri.
La boscaglia che arde come una torcia, una colonna di fumo nero e denso che si leva dal crinale della collina e scatena il panico tra gli abitanti della zona. Quando i vigili del fuoco e gli uomini della forestale arrivano sul posto, poco dopo le 15, non c’è più nessuno da salvare: sei corpi smembrati, irriconoscibili, verranno estratti a fatica da un cumulo di detriti, metallo contorto, blocchi di tufo e di cemento scaraventati a decine di metri di distanza. Nessun ferito, nessun superstite: inutili le ambulanze, le auto mediche, l’ospedale da campo allestito a tempo di record.
Una strage di cui sarà  difficilissimo, forse impossibile, trovare le cause. Le vittime sono il titolare della fabbrica, Claudio Cancelli, 65 anni, i figli Gianni e Giuseppe, 42 e 45 anni, due operai, Franceso Lorini, 33 anni e Enrico Battista, di 30 e un dipendente di un’altra ditta, la “Pirotecnica laziale Veroli”, Guido Campoli, 35 anni, venuto ad acquistare alcuni fuochi d’artificio che stava caricando su un furgone. La “Cancelli” festeggiava tra pochi mesi i 200 anni di attività  ed era considerata una delle imprese più scrupolose e sicure del settore, un’attività  dove il rischio è perennemente in agguato. Nel 1994 però, un’altra fabbrica della stessa impresa, vicino Balsorano, era stata devastata da un’esplosione: cinque vittime e un sopravvissuto: Claudio Cancelli, morto del disastro di ieri. Due membri della famiglia erano rimasti uccisi.
«Ho sentito uno scoppio violentissimo, poi ho visto il fumo che si alzava dalla zona dove si trova la fabbrica. Il bosco ha cominciato a bruciare, c’era un odore tremendo, avvicinarsi era impossibile» racconta un abitante della frazione Carnello. La “Pirotecnica arpinate” si trova alla fine di una strada sterrata, via Sant’Altissimo, che si inerpica in salita a circa quattro chilometri dalla cittadina famosa per aver dato i natali a Cicerone, Caio Mario e Giuseppe Cesari, il “Cavalier d’Arpino”. Come tutte le fabbriche del settore, per motivi di sicurezza è divisa in sei bunker, scatole di cemento isolate per le diverse fasi della lavorazione che dovrebbero, in teoria, diminuire i rischi in caso di esplosioni. «Conoscevo i titolari da anni, so come lavoravano, la ditta aveva ricevuto da poco il certificato annuale delle commissione provinciale esplosivi» assicura, sconvolto, l’assessore provinciale all’edilizia Gianluca Quadrini. L’organico è di undici operai, cinque dei quali, all’inizio, erano stati dati per dispersi alimentando le voci di una tragedia ancora più immane. Ma in questo periodo, con le sagre e le feste patronali, si lavora a ritmi serrati ed è possibile, quindi, che le precauzioni ne risentano. La prima esplosione, secondo una prima ricostruzione dei vigili del fuoco, è avvenuta nel reparto miscelazione e l’onda d’urto ha investito in pieno la casamatta che si trova più in basso e dove vengono stoccati i fuochi d’artificio già  pronti. Quasi intatto il bunker di 4 metri per 4 che può contenere 7 tonnellate di esplosivo.
«Quando un petardo o una bomba a base di polvere nera sono già  confezionati solo l’innesco può farli esplodere – spiega un funzionario dei vigili – a quel punto, senza una scintilla, sono innocui. Il rischio è nella fase di miscelazione, se si sbaglia l’areazione scoppia tutto».
La deflagrazione ha devastato completamente i due bunker, danneggiato gli altri quattro, distrutto tre auto. «Macchine accartocciate, mura crepate, blocchi di cemento scaraventati ovunque. Sembrava l’inferno, la fabbrica è stata quasi rasa al suolo» racconta, l’orrore negli occhi, l’assessore comunale Antonio Venditti, uno dei primi a precipitarsi sul posto. Imponente la macchina dei soccorsi: sei squadre dei vigili del fuoco, con uno schiumogeno da 25 mila litri partito da Roma, due elicotteri, ambulanze, carabinieri, polizia, squadre della protezione civile. Vicino alla fabbrica non ci sono case ma il fuoco ha attecchito nel bosco e i pompieri hanno lottato per ore contro le fiamme mentre, dall’interno dell’edificio, si levava un continuo crepitare di scoppi e di incendi. «Tutti e tre, tutti e tre» urla, tra le lacrime, Elide, la moglie di Claudio Cencelli. Scene di disperazione, malori, singhiozzi e rabbia tra gli altri parenti rimasti sul posto fino a notte. Il numero esatto delle vittime si è saputo solo alle 8 di sera. L’impatto ambientale è ancora tutto da verificare. Alle famiglie delle vittime è arrivato, nel pomeriggio, il cordoglio e la solidarietà  del presidente Giorgio Napolitano.


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