Vignali si arrende Ma Parma non è salva

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Non c’è mago delle pubbliche relazioni milanesi o romane che non sia stato almeno una volta convocato da Pietro Vignali, continuamente a caccia di idee per rafforzare la sua immagine. E per programmare quella che sembrava a molti un’inarrestabile carriera politica. Il destino però, notoriamente cinico, ha voluto che il sindaco-narciso si dovesse alla fine dimettere un anno prima della scadenza del mandato. A buttarlo giù una serie di indagini giudiziarie e relativi arresti che hanno terremotato la giunta comunale e mostrato come dietro l’illusione della grandeur parmigiana, concepita a colpi di lavori pubblici e tanti mattoni, covassero appetiti decisamente più prosaici.

Vignali, professione commercialista, ha una gravissima responsabilità : ha contribuito a montare a Parma il prototipo della macchina dei debiti grazie a una costellazione di società  miste pubblico-private che hanno agito in outsourcing e al di fuori dei normali controlli che passano per il ministero degli Interni. I Comuni notoriamente non si possono indebitare a causa del patto di stabilità  interno, ma le società  miste sì. Il magheggio è tutto qui. Così Parma si troverà  a far fronte a un debito-monstre che innanzitutto occorrerà  quantificare con precisione. Le opposizioni parlano di oltre 600 milioni, il sindaco sosteneva in agosto che fossero «soltanto» 408. I cittadini hanno diritto a sapere la verità . Le dimissioni del primo cittadino sono quindi solo il primo atto di un’operazione-trasparenza che va portata a termine in tempi brevi e che vale non solo per la città  ducale.

Non ci sono dati in materia ma senza voler per forza indossare i panni di Cassandra è legittimo avanzare il dubbio che altri Comuni in Italia abbiano adottato il metodo Vignali e stiano nascondendo sotto il tappeto (nelle società  controllate) quote considerevoli di indebitamento. Se il caso Parma, dunque, deve servire a qualcosa sarebbe bene che le autorità  di governo chiedessero in tempi brevi a tutti i principali Comuni di redigere il bilancio consolidato.

Scalzato il sindaco che non si voleva staccare dalla poltrona (attirandosi così il nomignolo di Vignavil) la società  civile e gli industriali parmigiani devono però farsi un esame di coscienza. Come è stato possibile che si accumulasse un debito così ingente senza che un’intera comunità  suonasse il campanello d’allarme? Forse perché la macchina del debito, prima di rivelarsi mostruosa, era stata giudicata funzionale agli interessi delle imprese locali? E ancora: è vero o no che Parma deve recuperare l’orgoglio di essere la capitale della Food Valley e pilotare il made in Italy verso nuovi traguardi e nuovi mercati? In molti del resto lo dicono e, forse, a ragione: il malaffare ha potuto mettere radici nella città  immortalata da Stendhal anche perché per troppo tempo Parma si è sentita appagata dal suo benessere materiale. Ma la ricchezza non può essere la sola prerogativa di una classe dirigente.


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