Banlieue, i nuovi ragazzi d’Europa

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L’Islam come rivendicazione sociale, religiosa e politica: nel 1985 fu il tema di una prima inchiesta, Les banlieues de l’Islam. Un quarto di secolo dopo, la situazione è molto cambiata e per questo abbiamo voluto indagare a Clichy-sous-Bois e Montfermeil, epicentro delle sommosse dell’autunno 2005. L’estrema ghettizzazione di questa borgata, il sentimento di relegazione che domina fra i suoi abitanti ha avuto come effetto di compensazione, in un certo modo, l’affermarsi di un’identità  religiosa più forte.
I valori religiosi sono un vettore di coesione sociale, nell’Islam come nel cristianesimo o il giudaismo. Ma quando si ha l’impressione che le istituzioni siano inadempienti, quando manca il lavoro, la dimensione religiosa tende a sostituirsi alle istituzioni, ma questo è anche un modo per chiedere di essere integrati nella società .
I protagonisti della nostra inchiesta sono diversi da quelli del 1985. Allora si trattava di lavoratori immigrati, che in grande maggioranza non erano francesi, e di confessione musulmana.
Oggi, in gran parte dei casi, hanno lasciato il posto a una giovane generazione, nata qui, di nazionalità  francese: non è più l’Islam in Francia, ma l’Islam della Francia. Questo fenomeno si è sviluppato mentre al tempo stesso si osservava una progressione notevole della disoccupazione e la crescente difficoltà  della scuola a educare questi giovani per consentire loro di avere accesso ai nuovi impieghi, in particolare nel terziario.
La deficienza dell’istruzione ha messo in difficoltà  la logica dell’integrazione, non solo sociale ma anche culturale. In questo contesto che si sono prodotti gli avvenimenti dell’autunno 2005, le sommosse scoppiate a Clichy e Montfermeil.
Esplose nonostante ci fosse stato un importante coinvolgimento dello Stato nelle borgate popolari, contrariamente a quel che si è potuto vedere in Gran Bretagna, negli Stati Uniti o altrove, in particolare grazie alla politica di rinnovamento urbano, che consisteva a distruggere gli enormi edifici vetusti per rimpiazzarli con costruzioni più moderne e piacevoli. Ciò nonostante, il problema è adesso quello di entrare in una nuova fase, passare, dal rinnovamento dell’habitat al rinnovamento sociale e culturale.
La principale posta in gioco è l’istruzione, che deve permettere l’accesso all’occupazione. Non è solo una questione qualitativa, perché questa occupazione può anche consentire alla Francia di mantenere la sua competitività  economica internazionale. Ma è anche la promessa di un’integrazione culturale migliore, che possa permettere anche a chi vede nell’Islam la propria identità  di negoziarla nel quadro della Repubblica e dell’ordine repubblicano.
Oggi, nei quartieri in cui la République e le sue istituzioni sono meno presenti c’è la tendenza ad avere, soprattutto nelle borgate più isolate, un’auto-organizzazione, modi di resistenza che si riferiscono sempre più alla cultura musulmana. Lo si vede con lo sviluppo dell’alimentazione halal, con i matrimoni contratti soprattutto all’interno della comunità , mentre il modello francese d’integrazione si è appoggiato molto, per esempio, sui matrimoni misti. E’ un fenomeno che riguarda soprattutto i quartieri isolati e non si ritrova allo stesso modo altrove, ma oggi è un fenomeno preoccupante. Tutto ciò per dire che le forme prese dallo sviluppo dell’Islam in Francia, assai diversificate, indicano le difficoltà  incontrate dalle borgate popolari e le sfide che aspettano il prossimo presidente della Repubblica: la questione delle banlieue centrale per la coesione sociale, per il dinamismo e la prosperità  della Francia di domani. Reintegrare le borgate popolari nel tessuto sociale è un obiettivo essenziale e Clichy-Montfeermeil è la Francia, non è qualcosa di nascosto dietro i muri anti-rumore delle autostrade, di cui non si parla mai o che è oggetto di strumentalizzazioni demagogiche.
La situazione è invece molto diversa nei paesi che avevano una forte dimensione comunitaria, come la Gran Bretagna, l’Olanda, la Germania, dove si pensava che gli individui potessero vivere ripiegati su loro stessi e dove non c’è una cultura di integrazione o di assimilazione come quella francese. Le logiche multiculturali presenti in quei paesi sono state profondamente minate dallo sviluppo di movimenti terroristi islamici: gli attentati di Madrid nel 2004, quelli di Londra nel 2005, l’assassinio di Theo Van Gogh in Olanda e poi l’affare delle vignette in Danimarca. O tutto ciò ha suscitato una reazione contraria e quei paesi multiculturali sono forse oggi i più chiusi alla diversità  sociale. La Francia non è mai stata multiculturale e mi sembra meglio attrezzata per affrontare una questione essenziale: rinnovare e rifondare una politica di integrazione sociale e culturale, basata sul postulato che chiunque arriva in Francia, si integra socialmente e culturalmente, è francese come chi è nato da sempre in questo paese. Si è francesi per cultura come si è greci per la palestra e il liceo. Credo sia qualcosa che non si è stati abbastanza capaci di mettere in opera nelle banlieue, ma che mi pare realizzabile.
Nella nostra inchiesta colpisce una cosa: al di là  dell’azione dello Stato, ci sono fenomeni di successo individuale che vengono da imprenditori di origine immigrata e che sono fra i migliori vettori dell’integrazione. La società  è pronta, tutti i francesi, tranne forse in alcune zone rurali, sono abituati a vivere con persone di origine straniera, è una tradizione antica. Si tratta di sapere se le culture devono convivere in una logica antagonista o comunitaria oppure se nelle diverse tradizioni culturali quel che è comune deve prendere il sopravvento su quel che è diverso.
è questa l’integrazione: occorre un’azione pubblica, ma ci vogliono anche campagne di sensibilizzazione, perché quel che abbiamo in comune abbia il sopravvento nel progetto sociale.


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