Conto alla rovescia per seppellire il Porcellum

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ROMA – Arrivano i tre furgoni con i duecento scatoloni pieni di moduli. Entrano da una via laterale nel garage della Cassazione. Sulla scalinata del Palazzaccio migliaia di palloncini rosa con impresso un maialino. Simbolo del Porcellum, la legge elettorale che 1.210.466 cittadini italiani chiedono di cancellare con due referendum. Ne servivano 500 mila, il comitato puntava a 700 mila.
Dunque hanno di che gioire Mario Segni, Antonio Di Pietro, Arturo Parisi e gli altri che ad inizio agosto si sono lanciati in un’impresa che sembrava impossibile. Nichi Vendola non c’è. Ci sono però Gennaro Migliore e Loredana De Petris. E dopo la consegna ufficiale infatti gioiscono. Lo fa anche Romano Prodi, uno dei primi a firmare. «Non è soltanto un risultato soddisfacente, è un trionfo ed è il segno di un grande desiderio di cambiamento e di farla finita con una legge elettorale che ha umiliato i cittadini», dice l’ex premier. Andrea Morrone, presidente del comitato promotore, dice che «si è avverato un miracolo popolare». Segni descrive una «galoppata entusiasmante». Parisi vede «una vittoria dei cittadini, un grande risultato».
Adesso si devono attendere i passaggi formali della Cassazione e poi il giudizio della Corte costituzionale. Saranno ammessi i referendum? I giudizi sono discordanti. Ma il clima dell’opinione pubblica è diverso e i risultati degli ultimi referendum fanno sperare bene i promotori. Ammesso che la Consulta dia il via libera. Ma già  si vede sullo sfondo il solito dibattito fra chi vuole votare e chi chiede l’intervento del Parlamento. Così Gianfranco Fini si augura «che si riesca per davvero a cambiare la legge, non necessariamente attraverso il referendum ma anche attraverso l’azione che dovrà  svilupparsi in Parlamento».
Posizione condivisa da Pier Ferdinando Casini. «Discuteremo in parlamento della nuova legge elettorale per ridare ai cittadini la possibilità  di scegliere i propri parlamentari. Il bipolarismo in Italia ha fatto danni inenarrabili». Anche Rosy Bindi sembra pensare che non sia necessario votare. «In meno di un mese i cittadini, con un milione di firme, hanno mandato a dire al Parlamento che bisogna cambiare la legge elettorale», dice il presidente del Pd.
Il successo dei referendari però crea polemiche nel Pd. «Quelle firme – dice Pierluigi Castagnetti – sono un monito a tutto il sistema politico, ma soprattutto al Pd chiamato a superare pigrizie e incertezze di fronte alle scelte di cambiamento che chiedono gli italiani». Pierluigi Bersani, invece, si dice «stupefatto delle critiche» e rivendica il ruolo del partito nel boom delle firme: «Non ci ho messo il cappello, ma i banchetti per raccogliere le firme sì», dice il segretario. La Bindi concorda e dice: «Se Castagnetti vuole, se ne può pure discutere, ma i partiti si comportano come abbiamo fatto noi». Ma i referendari non perdonano la “freddezza” iniziale. «Sarebbe bello ed elegante se ora Bersani lasciasse il cappello sotto i banchetti anziché metterglielo sopra», dice il deputato Mario Barbi. E il “rottamatore” Pippo Civati si chiede: «Ma Bersani avrà  firmato per il referendum?».


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