Il premier: “Sì alle preferenze” ma nel Pdl monta il dissenso

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ROMA – Stavolta Berlusconi l’ha fatta grossa. Trascinato dall’entusiasmo, dal congresso di Scilipoti, ha alzato la bandiera del ritorno alle preferenze, lasciando di stucco il suo stesso partito. «I cittadini – ha affermato – firmando in un milione e settecentomila il referendum sul fatto di reintrodurre le preferenze, ci hanno dato un’indicazione assolutamente chiara di questa volontà ». Ma come? Il referendum contro il porcellum trasformato in plebiscito a favore delle preferenze? I primi a saltare sulla sedia sono i referendari doc. Come Arturo Parisi: «Forse è il caso che qualcuno gli legga i quesiti». Ma ad accorgersi dell’errore sono gli stessi esperti del Pdl, che infatti devono correre ai ripari per correggere lo svarione del premier. «Il diritto di scegliere i propri rappresentanti in parlamento, sul quale è incentrata l’iniziativa referendaria e al quale ha fatto oggi riferimento il presidente Berlusconi – ricorda ad esempio Gaetano Quagliariello – non significa un mero ritorno alla pratica delle preferenze, che del resto in Europa esistono solo in Grecia». Anche Fabrizio Cicchitto stronca la proposta di Berlusconi perché, sostiene, «per modificare la legge elettorale è possibile ricorrere anche a modelli diversi dalle preferenze, come per esempio i piccoli collegi». Per Osvaldo Napoli le preferenze chieste sono state storicamente «la culla di correnti di potere».
Insomma, l’uscita di Berlusconi è stata poco meditata. E ha messo a disagio molti nel Pdl. «Il fatto – raccontano nel partito – è che Berlusconi oscilla tra l’idea di una legge elettorale maggioritaria, per mettere Casini con le spalle al muro, e un porcellum con le preferenze per allettare Casini e portarlo con noi». Pier Luigi Bersani ha buon gioco a definire solo «chiacchiere» quelle del premier, visto che «in Parlamento non arriva mai niente di serio». Ma a toccare con mano questa indecisione sono stati gli stessi radicali due sera fa, durante l’incontro a palazzo Grazioli. Di fronte a Pannella che gli decantava i pregi del maggioritario all’americana e del presidenzialismo, il premier ha allargato le braccia: «La penso come voi. Ma se proponessi il presidenzialismo direbbero che voglio il ritorno alla dittatura».
E tuttavia la legge elettorale non è l’unica spina del Cavaliere. La maggioranza frigge soprattutto per il decreto sviluppo che ancora non arriva. «Il prossimo passo – avverte Maroni – deve essere il decreto sviluppo. Se Berlusconi accetterà  la sfida di questo percorso difficile arriveremo al 2013 e rivinceremo le elezioni, altrimenti, se alzeremo bandiera bianca, sarà  un disastro». Anche per Claudio Scajola la crisi «richiede una risposta adeguata», ovvero «l’esatto contrario di quello che assai spesso viene percepito: un governo in grave difficoltà ».


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