INTERCETTAZIONI, I DIRITTI DEI MALATI

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E la parte del cattivo è impersonata dalla direttrice amministrativa. È l’esemplificazione estrema delle conseguenze perverse cui può portare una gestione del sistema sanitario pubblico che si affida a istituzioni private per garantire prestazioni che non è in grado, o non vuole, fornire direttamente, tanto più se c’è mancanza di controlli e una definizione delle tariffe basata su criteri di contenimento delle spese. I cattivi, allora, in realtà  sono due. L’amministratrice che ragiona “da imprenditrice e non da medico”. Ma anche la sanità  pubblica, che nasconde le proprie incompetenze e difficoltà  economiche scaricandone le conseguenze sui malati. Questi ultimi si trovano in un vicolo senza uscita. Spesso, anche quando non sono in condizione di aspettare, non trovano posto negli ospedali pubblici. Se si rivolgono alle strutture private convenzionate, di fatto rischiano di non ricevere cure appropriate; perché il pubblico, come l’assicuratore privato, non è disposto a pagare oltre un certo tetto. Chi può diventerà  cliente privato. Chi non può, o non è informato del rischio, sarà  lasciato alla sua malattia. In un Paese che pure si vanta di avere un sistema sanitario pubblico universalistico, la differenza tra clienti privati e utenti del settore pubblico non sembra più riguardare solo il “trattamento alberghiero” e neppure l’accesso a corsie preferenziali. Rischia di riguardare anche il diritto alle cure e, in casi estremi, lo stesso diritto alla vita.
Non so come la regione Sicilia sia arrivata a fissare in 100 euro il costo della cura giornaliera per la disintossicazione dalla chemioterapia e neppure se il costo dichiarato dalla clinica di 250 euro sia sovra-stimato. Ma è contrario a ogni principio etico e di appropriatezza delle cure sia che queste vengano razionate sulla base di valutazioni economiche, sia che il decisore pubblico si disinteressi delle conseguenze delle sue decisioni sui diritti dei malati. Nessuno obbliga una clinica privata a convenzionarsi con il pubblico. Ma se lo fa deve accettare tutte le responsabilità  che ne derivano. È auspicabile che il ministro della Salute, che appartiene ad un governo che si appresta ad approvare una legge sul fine vita che obbligherebbe di fatto i medici a un accanimento terapeutico ad oltranza, contro la volontà  dei pazienti, presti maggiore attenzione al rischio che chi ha diritto alle cure, e certamente non le rifiuta, invece non le riceva, tra privatizzazioni striscianti e tagli lineari.
Questa volta, a Palermo, la violazione dei diritti dei malati è venuta alla luce per caso, in conseguenza di intercettazioni telefoniche operate per verificare altri tipi di abusi. Uno dei tanti esempi dell’utilità  delle intercettazioni, telefoniche e ambientali, come strumento investigativo. Ma quanti altri casi rimangono sconosciuti, quanti altri malati saranno lasciati alle loro sofferenze, vittime di scelte politiche insipienti e di amministratori rapaci? Il sospetto non può lasciarci tranquilli. Non dovrebbe lasciare tranquillo neppure il ministro della Salute.


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