La doppia vita dell’Edf

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 MESSINA .Inquinatore della falda acquifera in Basilicata, «monitore ambientale» nello Stretto di Messina. E’ il doppio ruolo di Fenice, società  controllata di Edf (Electricité de France, l’Enel d’oltralpe). Lo scorso 12 ottobre sono stati arrestati l’ex direttore dell’Arpab (l’ente che avrebbe dovuto esercitare le funzioni di controllo) e il direttore del dipartimento provinciale. Le accuse sono disastro ambientale e omissione d’atti d’ufficio. Poche ore prima il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo dichiarava: «Costringeremo i francesi a bonificare l’area». Così trova conferma ufficiale la pericolosità  dell’inceneritore di San Nicola di Melfi, provincia di Potenza, utilizzato per bruciare sia rifiuti industriali – tra cui quelli provenienti da impianti Fiat dislocati in varie regioni – che quelli urbani. Il 14 ottobre la Provincia di Potenza sospendeva l’autorizzazione all’impianto, costringendolo a uno stop di 150 giorni.

Il comitato «Diritto alla salute» di Lavello da tempo denuncia l’aumento dei tumori e chiede la chiusura della struttura, peraltro non giustificata da alcuna emergenza: siamo nella regione più «disabitata» d’Italia e la produzione di rifiuti è minima. La densità  lucana è di 50 abitanti per chilometro quadrato, quella di Napoli 8mila. L’impianto gestito da Fenice avrebbe inquinato le acque fin dal 2002, immettendo metalli pesanti e solventi cancerogeni. La notte del 2 ottobre scorso è avvenuto un incendio che ha disperso nell’ambiente una nube di fumo tossico. Il rischio non riguarda solo gli abitanti del luogo. La zona si trova al confine con la Puglia e produce ortaggi, pomodori e uve da vino esportate in tutta Italia. Come si difende l’azienda? «La messa in sicurezza di emergenza del sito è stata operata immediatamente a valle dell’autodenuncia del 2009, come previsto dalla norma specifica, e il processo di bonifica è in corso nei termini di legge».
La stampa locale ha riportato la testimonianza di Antonietta Asquino, che accusa macchie rosse sulla pelle, accompagnate da gonfiori e dolori. E’ stata per dieci anni addetta alle pulizie nell’inceneritore e ora ha presentato una lettera-querela alla Procura della Repubblica di Potenza. Ma le sue denunce iniziano molto prima: nel novembre del 2009 inviava una lettera al sindaco di Melfi nella quale, parlando della malattia, chiedeva i dati Arpab. Oggi l’ente è accusato di non aver reso pubblici i dati che in maniera evidente testimoniavano gli sforamenti delle quantità  ammesse di mercurio, cromo, manganese e nichel (quest’ultimo anche di 360 volte). Secondo alcuni medici i tumori nella zona sono aumentati in modo esponenziale. Solo ai microfoni di «Striscia la notizia» il ministro dell’Ambiente annunciava una ispezione presso l’impianto. Nonostante sia il principale responsabile della situazione, Fenice Edf finora ne esce più che bene. Solo qualche sospensione per i dirigenti e nessuna imputazione da parte della Procura. E, soprattutto, nessuno ha chiesto di rescindere il surreale contratto che un soggetto pubblico (Stretto di Messina) ha firmato ormai cinque anni fa. E che dunque trasferisce denaro dalle tasche dei cittadini a quelle della multinazionale francese.
Il monitore
Il contratto lo definisce «monitore» (dal dizionario etimologico: colui che ammonisce, avvisa, ammaestra). E’ uno degli impegni di spesa più rilevanti dalla società  «Stretto di Messina», che ha annunciato per il 2018 l’apertura al traffico del Ponte sullo Stretto. Ma già  nell’aprile 2006 veniva firmato l’accordo per il monitoraggio ambientale, territoriale e sociale per la fase ante operam, di costruzione e di esercizio (post operam) dell’attraversamento stabile e dei collegamenti stradali e ferroviari. Il valore della gara era di 37 milioni di euro, per effetto del ribasso scendeva a 29 milioni. Fenice è capofila di un consorzio formato anche da Agriconsulting, Eurisko NopWorld, Theolab e dalla cooperativa calabrese Nautilus, unica ditta locale coinvolta nelle attività .
La questione ambientale è stata per lungo tempo il nodo cruciale della megaopera. Per dimostrare l’attenzione al tema, il monitoraggio è previsto nella cosiddetta «area vasta», una zona molto più ampia rispetto a quella del cantiere. L’area marina sottoposta allo studio dei cetacei ha come epicentro lo Stretto ed è ampia ben 1600 km quadrati. Ma i settori da analizzare sono tantissimi: atmosfera, acque superficiali e sotterranee, sottosuolo, flora e fauna, rumore e vibrazioni, campi elettromagnetici, paesaggio; stato fisico dei luoghi e viabilità  dei cantieri; ambiente sociale.
Lo stato di bianco
La fase ‘ante operam’ è già  iniziata. Lo scopo è definire lo «stato di bianco», ovvero la situazione preesistente all’avvio del cantiere. Sono stati installati rilevatori di traffico veicolare, campionatori, centraline e stazioni meteo sulle due sponde. Paradossalmente, una delle attività  principali di Fenice è il monitoraggio della qualità  dell’aria.
L’impatto ambientale è spesso confuso col danno «paesaggistico» di piloni e tiranti. Quello è solo un aspetto e nemmeno il più grave. «Sul territorio si avrebbero effetti negativi su tutto, dalla salute pubblica alla viabilità  alla sicurezza idrogeologica», spiega Anna Giordano, responsabile vertenze del Wwf e vincitrice di riconoscimenti internazionali per il suo impegno ambientalista. «Potremmo avere un’area di impluvio, dove le acque piovane dovrebbero scorrere per poi raccogliersi nella fiumara sottostante, tappata con centinaia di migliaia di metri cubi di materiale di scavo. Una importante arteria diventerebbe a corsia unica, perché l’altra servirà  ai Tir, ognuno dei quali porterà  da 13 a 15 metri cubi di materiale».
I cantieri calabresi del Ponte, ormai sono dati ufficiali, produrrebbero poco meno di 4 milioni di metri cubi che saranno trasportati dai cantieri di Villa a Melicuccà , 30 chilometri più a nord. In Sicilia le varie discariche dovranno ospitare 6 milioni e 700 mila metri cubi di inerti. Circa 10 milioni quindi il totale prodotto dagli scavi del Ponte. Materiali da spostare, stoccare e ricoprire. Una questione che non sembra centrale nel piano del «monitore», che comunque ha previsto l’osservazione di 160 punti a rischio frana. Poi gli studi si occuperanno di rumore subacqueo, macroinvertebrati bentonici, toporagni, comunità  di chirotteri (pipistrelli) e micromammiferi. «Il ruolo di Fenice è chiaramente incompatibile, oggi più che mai il contratto va revocato»», dice Luigi Sturniolo della Rete No Ponte. «Un inquinatore non può fare il monitoraggio ambientale. Ma noi chiediamo anche che il denaro vada ad un’opera realmente utile, la messa in sicurezza del territorio».

MESSINA«Il ponte si farà »

Nuova marcia del governo sul Ponte sullo Stretto. Dopo aver avallato una mozione dell’Idv che sospende tutti i finanziamenti destinati all’opera, ieri un comunicato di palazzo Chigi ha dettato la nuova linea, che contraddice palesemente quella precedente. «La Presidenza del Consiglio – è scritto – precisa che la mozione approvata ieri dalla Camera non cancella la realizzazione del Ponte sullo Stretto. L’opera, infatti, è solo in parte finanziata dall’intervento pubblico. L’onere complessivo dell’infrastruttura prevede anche la partecipazione di capitale privato, l’utilizzo di Fondi strutturali e di altre fonti».


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