La Francia spara agli Shabaab

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 Parigi riparte in guerra? Dopo l’intervento in Costa d’avorio e quello in Libia, la Francia è intervenuta anche in Somalia per sostenere le truppe keniote nell’offensiva contro le milizie islamiche al Shabaab. Lo ha affermato il portavoce dell’esercito keniota, Emmanuel Chrichir: «La marina francese – ha detto – ha bombardato la città  di Kuday, nel sud di Chisimaio». Un’ entrata in forze nell’operazione «Linda Nchi» (proteggere la nazione) sferrata da Nairobi contro i ribelli islamici, nemici del governo di Mogadiscio.

La Francia ha smentito, ma su diversi giornali internazionali si è parlato con insistenza di una «forte pressione americana» su Nairobi perché intervenga nel conflitto somalo. Anche Washington, che non agisce direttamente in Somalia del ’93, ha smentito un suo coinvolgimento militare, ma secondo molti osservatori, dietro l’offensiva Linda Nchi, vi sarebbero nuove mire internazionali – Francia, Usa e Italia in testa – per il controllo dell’area, buco nero di traffici e aiuti miliardari che consentirebbero un esito ben diverso alle popolazioni se solo arrivassero a buon fine.
L’Autorità  intergovernativa per lo sviluppo (Igad), che si è riunita recentemente ad Addis Abeba ha d’altronde chiesto all’Onu l’istituzione di una «no-fly zone» sulla Somalia per combattere gli Shabaab, e un blocco aereo e navale in particolar modo nell’area di fronte al porto di Chisimaio, grande fonte di rifornimento per i ribelli islamici. L’offensiva del Kenya – l’operazione militare più importante dall’indipendenza (nel ’63) – non pare aver comunque ricevuto l’avallo dell’Unione africana, come invece sembrava in un primo tempo. E anche Sheik Sharif Ahmed, il presidente somalo del Governo federale di transizione, sostenuto dalla «comunità  internazionale», è tornato apparentemente sui suoi passi: mentre in un primo tempo aveva dichiarato che le operazioni erano state compiute in completo accordo fra le sue truppe e quelle keniote, ha poi affermato: «Il governo somalo e il suo popolo non permetteranno mai che truppe straniere entrino sul loro territorio senza un accordo preliminare». Senza però accennare all’accordo, firmato il 18 ottobre scorso dai ministri della Difesa dei due paesi, che prevede reciproca cooperazione per operazioni militari e di sicurezza. In base all’accordo, l’intervento dei soldati kenioti dovrà  limitarsi alla frontiera somala, a Bas Juba, nel sud del paese.
Per Nairobi, l’ingresso delle truppe kenyote sul territorio somalo ha funzione preventiva, a seguito dei numerosi sequestri di cui sono rimasti vittime diversi europei nella zona di confine all’interno della frontiera del Kenya. Una di queste, la sessantaseienne femminista francese Marie Dadieu (disabile) è morta lo scorso 19 ottobre. Le milizie islamiche hanno però negato la paternità  dei sequestri: secondo i precetti dell’islam – hanno sempre sostenuto -, la pirateria come i sequestri, sono da condannare. E hanno accusato Nairobi di voler invadere un territorio sovrano e minacciato ritorsioni.
Il 24 ottobre, nella capitale keniota sono stati compiuti due attentati nel giro di 24 ore: un morto e 27 feriti. E le vittime avrebbero potuto essere molte di più se gli attentatori fossero riusciti a lanciare la bomba all’interno di un minibus colmo di passeggeri. Le milizie Shabaab, legate ad al-Qaeda, sono state espulse da Mogadiscio due mesi fa, dopo anni di attacco al Governo federale di transizione di Ahmed, il loro ex alleato, messo in carica dall’appoggio internazionale, nel 2004. Per trovare consensi, Ahmed ha presentato il ritiro delle milizie islamiche da Mogadiscio come una vittoria, ma per molti gli Shabaab avrebbero solo cambiato tattica, preferendo la guerriglia allo scontro diretto con il Governo federale di transizione e con le truppe dell’Amisom, la missione Onu in Somalia. E ora, secondo il portavoce militare keniota, Chrichir, si starebbero preparando per resistere all’attacco.


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