Le lacrime e la lotta

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Sono morte giovani donne a Barletta. Sono morte mentre lavoravano senza standard di sicurezza e di legalità , senza contratto e sottopagate. Sono morte delle speranze per il futuro dell’Italia. Speranze che lottavano e faticavano per una vita decente. Erano lì, nello scantinato, sognando un futuro differente che il lutto ha bruscamente interrotto. Mi occupo di lavoro, da sindacalista, da molti anni. Non ci si abitua mai alle morti bianche, non c’è volta che le lacrime, l’indignazione, la rabbia, la tristezza non scoppino devastanti. L’esperienza, la mia e quella di chi mi ha preceduto nella lunga sfida della rappresentanza del lavoro, e del lavoro delle donne, mi ha insegnato però che lacrime, indignazione e rabbia possono e devono accompagnarsi alla voglia di reagire, all’azione, alla responsabilità . A stare in campo per il cambiamento.
Erano delle operaie tessili, le ragazze schiacciate dal crollo del palazzo a Barletta, come operaie tessili erano quelle da cui è partita la lotta del movimento sindacale femminile. Sono passati più di cento anni dal famoso incendio che a Chicago uccise lavoratrici, in sciopero, bloccate nella fabbrica chiusa dal padrone. Dopo cento anni, qui in Italia, ancora le condizioni di vita e di lavoro delle donne e a dire il vero anche degli uomini sono precarie, a rischio, spesso sotto ogni livello minimo di decenza e di legalità . Le condizioni di lavoro, inaccettabili, come quelle delle operaie morte, e le condizioni di vita, come quelle della figlia dei titolari del maglificio, scomparsa anche lei a soli 14 anni, sono drammaticamente il simbolo dell’Italia che questa classe dirigente che governa il Paese non vede, non ascolta, a cui non dedica politiche e scelte positive. A cui non viene dato rispetto, speranza, futuro. Conosco bene la realtà  di vita e di lavoro di tante donne come quelle che ci hanno lasciato. Nel Sud abbiamo tanto combattuto contro queste condizioni. Un lavoro frammentato, non riconosciuto, non valorizzato. Filiere di produzione senza trasparenza e legalità , divise in tanti spezzoni, purtroppo non sempre rispettosi della legge.
Quelle lavoratrici non avevano un contratto. La loro paga, per un lavoro faticoso e difficile, era tremendamente bassa e ingiusta. Il posto di lavoro non garantiva condizioni e procedure di sicurezza. Ma che Paese siamo? E almeno questa volta la risposta non può essere la crisi. Non c’è crisi che tenga rispetto allo scenario descritto. Di lavoratrici e lavoratori che, come quelle operaie, faticano senza veder riconosciuta la loro dignità  e i loro diritti, rischiano la vita lavorando ce ne sono tante, troppi. Forse si può pensare che sia stato un incidente, ma è sicuramente anche il tremendo segno di un sistema che ha troppe fragilità , incurie, irresponsabilità ; e in cui pagano sempre gli stessi. Eppure siamo un Paese migliore di questo, viene da dire usando una frase retorica. Ma la retorica si spegne davanti al lutto. Qui abbiamo bisogno di un minuto di silenzio! Siamo un Paese che non funziona. Un Paese che tollera l’illegalità , o che non riesce a contrastarla efficacemente. Un Paese che non riesce a superare le differenze territoriali, con il Sud troppo spesso trattato come la terra dove tutto si può fare, in cancellazione di regole, rispetto, umanità . Un Paese che non offre possibilità  ai giovani, con un atto di miopia nei confronti del proprio futuro.
Un Paese che non rispetta e non valorizza le donne, come il movimento nato il 13 febbraio ha in questi mesi portato all’attenzione di tutti.Dovremmo e vorremmo essere un Paese migliore, si. Ma non lo diventeremo senza una fortissima azione di cambiamento, senza riforme che restituiscano stabilità  e giustizia al sistema, senza uno sforzo politico che rompa finalmente la stasi in cui siamo piombati. Donne e lavoro, giovani e sud. È da loro che dobbiamo ripartire, è nella forza tenuta costretta dalla fatica del sopravvivere che l’Italia può riscoprire il futuro.Sono addolorata dal pensare che, da oggi, il nostro futuro dovrà  fare a meno dell’energia, dei sorrisi, dell’intelligenza, delle emozioni di cinque giovani donne. Ma l’energia che avevano deve accompagnarci, deve essere un pezzo della forza che ci serve per cambiare l’Italia. Anche per loro continueremo a lottare e a servire questo Paese.


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