BAUMAN: “POSSIAMO CAMBIARE IL MONDO IMITANDO LE FARFALLE”

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In quale mondo vorrei vivere? In verità , non posso dire molto. Ciò perché, prima di tutto, in 60 anni di impegno nella sociologia, non sono mai stato bravo a profetizzare. In secondo luogo, alla fine di una vita imperdonabilmente lunga, l’unica definizione di buona società  che ho trovato dice che una buona società  è tale se crede di non essere abbastanza buona. Pertanto, preferisco concentrarmi non tanto sul mondo nel quale vogliamo vivere, quanto sul mondo in cui dobbiamo vivere, semplicemente perché non abbiamo altri mondi nei quali scappare. Mi riferisco a una citazione di Karl Marx, il quale affermava che le persone fanno la loro storia, ma non nelle condizioni da loro scelte. Ogni volta che la sento, mi ricordo anche una storiella irlandese che ci racconta di un guidatore il quale ferma la sua auto e chiede a un passante: «Mi scusi, signore, potrebbe cortesemente dirmi come posso arrivare a Dublino da qui?». Il passante si ferma, si gratta la testa e dopo un po’ risponde: «Bene, caro signore, se dovessi andare a Dublino non partirei da qui». Questo è il problema: sfortunatamente, noi stiamo iniziando da qui e non abbiamo nessun altro punto dal quale partire.
Intendo pertanto sottolineare come il mondo dal quale partiamo “diretti a Dublino”, qualsiasi cosa Dublino qui voglia dire, è pieno di sfide e di compiti urgenti, in sostanza improcrastinabili. Penso che se il XX secolo è stata l’epoca in cui le persone si chiedevano “cosa” bisogna fare, il XXI secolo sarà  sempre di più l’era nella quale le persone si faranno la domanda su “chi” farà  ciò che va fatto. Esiste una discrepanza tra gli obiettivi e i mezzi a nostra disposizione. Mezzi che sono stati creati dai nostri antenati, che hanno dato vita allo Stato-nazione e lo hanno dotato e armato di molte istituzioni estremamente importanti, fatte su misura dello Stato-nazione. Per quanto concerne lo Stato-nazione, esso era veramente l’apice dell’idea di autogoverno e sovranità , l’idea di essere a casa e così via. Soprattutto, lo Stato-nazione era un affidabile e impeccabile mezzo di azione collettiva, strumento per raggiungere gli obiettivi sociali collettivi. Questo veniva creduto al di là  della differenza tra “destra” e “sinistra”. Lo Stato-nazione era in grado di implementare le idee vincenti. Perché era così? Perché lo Stato-nazione veniva considerato, e in larga misura lo fu per abbastanza tempo nella storia, la fattoria del potere e della politica. Quello tra potere e politica è un matrimonio celebrato in cielo, nessun uomo può distruggerlo. Potere significa abilità  nel fare le cose. Politica significa abilità  nel dirigere quest’attività  di fare le cose, indicando quali cose devono essere fatte. Ora, ciò che sta accadendo oggi è l’indubbia separazione, una prospettiva di divorzio, tra potere e politica. Potere che evapora nello cyberspazio e che si manifesta in ciò che chiamo “globalizzazione negativa”. Negativa nel senso che si applica a tutti gli aspetti della vita sociale che hanno una cosa in comune: si tratta dell’indebolimento, l’erosione, la non considerazione delle abitudini locali, delle necessità  locali. La “globalizzazione negativa” abbraccia poteri come la finanza, il capitale, il commercio, l’informazione, la criminalità , il traffico di droga e d’armi, il terrorismo, eccetera. Non è seguita dalla “globalizzazione positiva”. A livello globale, non abbiamo niente di lontanamente somigliante all’efficacia dello strumento del controllo politico sul potere, dell’espressione della volontà  popolare, cioè la rappresentanza e la giurisdizione, realtà  sviluppatesi e bloccatesi al livello dello Stato-nazione.
Alla luce di questa discrepanza, ogni volta che sento il concetto di “comunità  internazionale”, piango e rido allo stesso tempo. Non abbiamo nemmeno iniziato a costruirla. I nostri problemi sono davvero globali, ma possediamo solo i mezzi locali per affrontarli; ed essi sono spudoratamente inadeguati al compito. Perciò la domanda che suggerisco sarà  probabilmente questione di vita o di morte per il XXI secolo. Chi se ne occuperà ? Quella sarà  la questione.
Non ho la risposta a questa domanda, posso solo proporre alcune parole di incoraggiamento. È abbastanza noto Edward Lorenz, con la sua tremenda scoperta che persino gli eventi più piccoli, minuscoli e irrilevanti potrebbero – dato il tempo, data la distanza – svilupparsi in catastrofi enormi e scioccanti. La scoperta di Lorenz è conosciuta nell’allegoria di una farfalla, a Pechino, che scuoteva le ali e cambiava il percorso degli uragani nel Golfo del Messico sei mesi più tardi. Questa idea è stata accolta con orrore perché andava contro la natura della nostra convinzione che possiamo avere piena conoscenza di quello che verrà  dopo. Andava contro la teoria del tutto. Che possiamo conoscere, predire, addirittura creare, se necessario con la nostra tecnologia, il mondo. Ricordo che in questa scoperta di Lorenz c’è anche un barlume di speranza ed è molto importante. Consideriamo cosa sa fare una farfalla: una gran quantità  di cose. Non trascuriamo i piccoli movimenti, gli sviluppi minoritari, locali e marginali. La nostra immaginazione va lontano, oltre la nostra abilità  di fare e rovinare cose. Nella nostra storia umana abbiamo un numero rilevante di donne e uomini coraggiosi che, come farfalle, hanno cambiato la storia in maniera radicale e positiva. Davvero. L’unico consiglio che posso dare allora: guardiamo le farfalle, sono di vari colori, sono fortunatamente molto numerose. Aiutiamole a sbattere le loro ali.
(Traduzione di Lorenzo Fazzini ed Elisa Tomba)


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