E Bossi provò la «carta Angelino»

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MILANO — Umberto Bossi, per Silvio Berlusconi, non c’è. L’accigliato leader leghista ieri ha respinto al mittente l’invito arrivato dal capo del governo per un faccia a faccia ad Arcore. Al suo posto, il capo padano ha inviato come scout a Villa San Martino Roberto Calderoli.
Un ambasciatore, non un esploratore: il ministro alla Semplificazione non si è presentato nella villa brianzola per «ascoltare», come si suol dire, ma per recapitare una proposta precisa. E cioè, la richiesta ufficiale di un «passo laterale» del premier che possa consentire al centrodestra di superare la tempesta con al timone un nuovo presidente del Consiglio. L’uomo su cui puntava il Carroccio era il segretario del Pdl Angelino Alfano. Ma a quel punto, è stato il presidente del Consiglio a dire no: «Ho parlato personalmente con tutti — avrebbe spiegato senza sorridere all’emissario padano —. I numeri in Parlamento ci sono. A quel punto, vediamo chi c’è e chi non c’è». Inclusa, sottinteso importante, la Lega. A Calderoli non è restato altro che smentire in blocco: «Sulla mia visita ad Arcore stanno circolando notizie prive di fondamento».
Domanda numero uno. Perché il Carroccio avrebbe dovuto puntare su Alfano e non, per esempio, su Gianni Letta? Al di là  della storica freddezza nei rapporti tra il sottosegretario a Palazzo Chigi e il Carroccio, alla Lega — che in fondo non si attendeva l’irrigidimento del presidente del Consiglio — il giovane segretario del Pdl porterebbe in dote il rientro in maggioranza dei berlusconiani «scontenti», probabilmente di una parte del Fli, ma non necessariamente lo sbarco dei «democristiani» dell’Udc. Più in generale, pareva in via Bellerio una soluzione «morbida», capace di rimettere in gioco tutte le anime disperse del centrodestra per ridare un minimo di ossigeno all’esecutivo.
Eppure, il no di Berlusconi ha colto in qualche modo di sorpresa l’alleato padano. E se Umberto Bossi ha gradito pochissimo, gli umori dei piani alti del movimento sono ancora più avvelenati: «Se l’idea — tuona un dirigente di primissima soglia — è quella di Giuliano Ferrara, e cioè le “elezioni sotto la neve” da svolgere in gennaio, il premier si sbaglia di grosso quanto meno su un punto: è tutt’altro che scontato che sarà  lui il prossimo candidato premier». La rabbia monta: «A giudicare dall’editoriale di Minzolini di ieri sera, non vorremmo mai che il presidente del Consiglio accarezzasse l’idea di una campagna elettorale lontana il più possibile dalla gente, e tutta giocata sulla sua ininterrotta presenza in televisione durante le feste. Sappia fin d’ora che se lo può scordare».
Delle perplessità  padane rende conto il titolo della Padania oggi in edicola: «Oggi prove di ribaltone» con l’aggiunta: «Incertezza per le scosse interne al Pdl, tra fuoriusciti e indecisi. E c’è chi lavora al governo tecnico». Un titolo che assegna grande importanza alla giornata di oggi: per il Carroccio, infatti, non basterà  che il voto sul Rendiconto passi sul filo delle astensioni degli «scontenti». Soprattutto, riflettono nel Carroccio, «è tutt’altro che detto che basti a Giorgio Napolitano. Senza contare che un via libera del genere non ci metterebbe al riparo dalle turbolenze dei mercati». Qualcuno si spinge più avanti, a prescindere dal presidente: «Bossi darà  al premier ancora 48 ore. Non di più».


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