Giornalisti, il 62% dei freelance non arriva a 5 mila euro l’anno

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Roma – Nel giornalismo italiano è allarme precariato con paghe che arrivano a meno di 5 mila euro l’anno. Diminuiscono i contratti, aumenta il lavoro autonomo e con esso la disparità  di reddito fra i giornalisti garantiti da un posto di lavoro subordinato e i non garantiti. Dietro il fenomeno del boom del lavoro autonomo, il cosiddetto ‘giornalismo freelance’, c’è in realtà  una crescita esponenziale del giornalismo precario e senza tutele, con gravi rischi per la libertà  d’informazione. E’ la fotografia scattata dal rapporto “Giornalismo, una professione sempre più frammentata” di Pino Rea del Laboratorio “Libertà  di Stampa, Diritto all’Informazione” (Lsdi), presentato oggi nella sede della Federazione nazionale della stampa italiana, in occasione della giornata europea dedicata ai giornalisti precari e freelance “Stand up for journalism”. Dalle grandi testate nazionali a quelle locali, si tende a non assumere più i giornalisti e ad appaltare il lavoro all’esterno delle redazioni, anche attraverso dei ‘service’ che pagano tramite partita Iva, con la cessione del diritto d’autore o con le collaborazioni occasionali. Gli stipendi sono da fame, spesso anche di 200 – 300  euro al mese, mentre si lavora tutti i giorni come dipendenti non riconosciuti.

I dati del rapporto Lsdi, basati sulle rilevazioni  2010 dell’Inpgi, dell’Fnsi, della Casagit e dell’Ordine dei giornalisti confermano “un  accentuarsi della frattura fra lavoro subordinato e lavoro autonomo”. Più della metà  dei giornalisti italiani sono lavoratori invisibili, perché non figurano iscritti all’istituto di previdenza Inpgi e quindi non hanno contributi pensionistici versati. Aumentano costantemente gli iscritti all’ Ordine dei giornalisti, che nel 2010 hanno superato il tetto dei 110.000 ‘’tesserati’’. Il mercato del lavoro che emerge dall’indagine vede un calo sensibile del lavoro subordinato (meno 3,85% dei rapporti di lavoro), il  blocco del turn over (meno 31% delle posizioni dei praticanti); una forte crescita (+7,7%)  ma ulteriore impoverimento del lavoro autonomo; un progressivo  invecchiamento della professione. 

Il giornalismo italiano ha cambiato faccia: gli autonomi sono molto più numerosi degli assunti. Alla fine del 2010 i giornalisti attivi ‘’visibili’’ (con una  posizione contributiva all’Inpgi attiva) erano 44.906: 19.895 nel campo del lavoro subordinato e 25.011 fra autonomi e parasubordinati (Co.co.co). Se nel corso del 2010 gli attivi sono cresciuti del  3,7% rispetto al 2009 (quando gli effettivi erano 43.300), l’incremento è dovuto all’aumento di peso del lavoro autonomo rispetto a quello subordinato, dove l’ anno scorso c’è stato un esodo dalle redazioni in seguito a prepensionamenti e stati di crisi.

Fra i 25.000 autonomi e parasubordinati la percentuale di chi denuncia redditi inferiori al 5 mila euro lordi all’ anno è cresciuta dal 55,3 al 62%. “Se fossimo in Francia solo 1 giornalista su 3 otterrebbe la Carte de presse, la tessera di giornalista” scrive il curatore del rapporto. In Francia non esiste l’ordine dei giornalisti e la tessera viene rilasciata dal sindacato sulla base di un reddito che si aggira sui 6 mila euro annui. Solo il 26% dei giornalisti autonomi ha un reddito annuo lordo superiore ai 10.000 euro. Solo 1 giornalista su 10 denuncia un reddito superiore ai 25 mila euro (10,4%), mentre fra i dipendenti a tempo indeterminato quelli che hanno un reddito superiore ai 30 mila euro lordi sono il 66,6%, oltre  6 giornalisti su 10.Si tratta di un divario che il passare degli anni non riesce a colmare e che rappresenta probabilmente il problema più complesso che il sindacato dei giornalisti e lo stesso ente di previdenza, l’ Inpgi, si  trova ad affrontare’’ scrive il curatore del rapporto.

 

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