IL CAVALIERE ALL’ULTIMO ATTO

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Senza decreto legge, e ormai senza maggioranza. Siamo all’atto finale del berlusconismo. La lunga “notte della Repubblica” non è bastata al Cavaliere per ricostruire le macerie della sua coalizione. Il Consiglio dei ministri non è stato in grado di varare il provvedimento urgente con le misure più severe per il risanamento dei conti pubblici e il rilancio della crescita. È riuscito a malapena a raffazzonare un maxiemendamento alla legge di stabilità  con le misure più indolori dal punto di vista sociale e più incolori dal punto di vista economico. Un po’ di privatizzazione del patrimonio pubblico, un po’ di liberalizzazione degli ordini professionali, qualche pasticcio «ad aziendam» nella giustizia civile e la solita bufala propagandistica sulla sburocratizzazione dello Stato. Tutto qui.
Nessun intervento sulla previdenza, con un ritocco sull’anzianità . Nessun ridisegno del prelievo fiscale, con una patrimoniale o una reintroduzione dell’Ici. Nessuna riforma del mercato del lavoro e del Welfare. Tutto rinviato a un decreto futuro e ad un futuro disegno di legge. Già  questo dà  la misura dello scarto drammatico che esiste nella percezione della crisi. Da una parte la battaglia furiosa che si combatte sulle piazze finanziarie internazionali, dall’altra la palude stagnante che si registra nel teatrino berlusconiano. Il tempo del mercato globale, luogo del verdetto giornaliero sui debiti sovrani, non coincide con il tempo di Palazzo Grazioli, “tempio” della trattativa estenuante, del rinvio sistematico, del compromesso levantino.
Il “libro dei sogni”, dunque, si è trasformato nel peggiore degli incubi. La pomposa e pretenziosa lettera che il Cavaliere aveva illustrato al vertice europeo del 26 ottobre, com’era prevedibile, è già  carta straccia. Era una truffa, mendace e velleitaria. Alla Ue il premier l’ha rivenduta come fosse un «Contratto con gli europei», simulando impegni inverificabili e scadenze improbabili. Peccato che i mercati non l’hanno bevuta: il palazzo Justus Lipsius di Bruxelles non è lo studio di Bruno Vespa. Agli italiani il premier l’ha smerciata come fosse la sua nuova «rivoluzione liberale», evocando addirittura lo «spirito del ‘94» nelle sedute ormai fantasmatiche del cerchio magico forzaleghista. Da allora sono passati otto giorni e bruciati oltre 100 miliardi, tra crolli in Piazza Affari e picchi dello spread tra Btp e Bund: la «frode» berlusconiana è drammaticamente manifesta in Europa, e puntualmente svelata in Italia.
Quella del Cavaliere non è una scelta. È piuttosto una resa. Il premier si arrende all’ordalia dei mercati e all’eutanasia della maggioranza. La politica, in questo centrodestra mutilato da oltre un anno della componente finiana, non esiste più già  da un pezzo. Ma con la lettera finalmente autografa degli scontenti del Pdl (che gli chiedono un passo indietro e un allargamento della coalizione) viene forse meno anche l’aritmetica. Si vedrà  presto, nei prossimi appuntamenti parlamentari. Il maxiemendamento alla legge di stabilità  potrà  anche passare al Senato, la prossima settimana. Ma quando approderà  alla Camera, tra il 13 e il 20 novembre, sarà  una terribile roulette russa. Molto più di quanto non lo siano state le rocambolesche fiducie votate dal 14 dicembre 2010 al 14 ottobre 2011.
Una mossa così impudente rispetto agli impegni sottoscritti nell’Eurozona, e così inconcludente rispetto ai bisogni del Paese, si spiega solo in un modo: Il Cavaliere non può e non vuole combattere la grande guerra per la modernizzazione, da uomo di una destra thatcheriana dura e pura che in Italia non è mai esistita e che lui (a dispetto della grancassa bugiarda del Foglio e di «Radio Londra») non ha mai incarnato. Vuole invece sopravvivere almeno fino alla fine dell’anno. Per impedire che nasca subito un altro governo di salute pubblica al posto del suo. Per aprire la crisi a gennaio (evitando lo spettro del referendum sulla «porcata» di Calderoli) e pilotarla fino alle elezioni anticipate della prossima primavera.
Ma questa “strategia della sopravvivenza”, che nasce dal puro interesse personale e fa strame del bene comune, ha ormai il fiato cortissimo. L’opposizione politica è coesa, quanto meno nell’immediata disponibilità  ad approvare anche le misure di risanamento più severe, purchè Berlusconi esca di scena un minuto dopo. L’opposizione sociale è compatta, quanto meno nella richiesta di un’immediata «discontinuità » di governo. Soprattutto, è in campo il presidente della Repubblica, che ha di fatto avviato un ciclo di consultazioni informali, come se una crisi di governo fosse già  virtualmente in atto. Il comunicato diffuso due giorni fa dal Quirinale, alla luce di quanto sta accadendo, assume un significato sempre più chiaro.
L’«assunzione di decisioni efficaci», nel solco degli impegni assunti in sede europea, è ormai «improrogabile». I gruppi di opposizione «hanno manifestato la disponibilità  a prendersi le responsabilità  necessarie in rapporto all’aggravarsi della crisi». Il Paese «può contare su un ampio arco di forze sociali e politiche consapevoli della necessità  di una nuova prospettiva di larga condivisione delle scelte» che tutti si attendono dall’Italia. Nessuno può permettersi di snaturare il pensiero o di forzare l’azione di Giorgio Napolitano. Ma ogni ora che passa, si fa sempre più forte la sensazione che il Cavaliere non è più «salvabile». E che un altro governo, finalmente, è davvero possibile.


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