Il Game Boy della politica italiana

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La sua storia, a 68 anni, è lineare e binaria: interprete integerrimo delle regole di mercato, liberista perfetto come International Adviser della Goldman Sachs e come presidente della filiale europea della Trilateral Commission. Due istituzioni che non sono circoli di golf.
Di Super Mario, così battezzato dalla stampa straniera all’inizio del millennio per il suo operato da commissario europeo all’antitrust tra il 1994 e il 2004, non ha i baffi come l’omonimo eroe della Nintendo, ma nessuno lo ha mai visto comunque sorridere. Ha fatto però piangere i giapponesi del Game Boy, quando ha aperto una procedura nei loro confronti, con l’accusa di mantenere i prezzi delle console «artificialmente alti» in Europa. A Bruxelles, ha fatto piangere in realtà  un po’ tutti, senza guardare in faccia nessuno. Oltre a Super Mario con i baffi, ha bloccato una fusione euro-americana tra General Electric e Honeywell e messo sotto la Microsoft con una mega multa per «abuso di posizione dominante». L’occasione ci è propizia per ricordare al candidato presidente del consiglio che, posata la valigia a palazzo Chigi, farebbe bene a rispolverare subito un po’ di quella severa pratica antitrust: se Silvio Berlusconi lascia, il conflitto di interesse rimane.
Ma di questi tempi in cui tutti gli europei che contano odiano l’Italia perché stiamo minacciando la loro stabilità  a suon di spread, va soprattutto ricordata la faccia feroce di Super Mario senza baffi all’allora cancelliere tedesco Gerhard Schroeder. In un ristorante fuori Bruxelles, lontano da occhi indiscreti e affiancato dal presidente della Commissione Romano Prodi e da altri commissari, Monti disse a Berlino che nemmeno i tedeschi potevano fare come gli pareva. Il giorno seguente avrebbe liberalizzato la distribuzione delle automobili in Europa alla faccia della Volkswagen e aperto una procedura per aiuti di stato contro le poste del governo federale. Angela Merkel stia in campana.
All’estero è rimasto una star, tanto è vero che le sue prime parole sono state riportate dal Financial Times, presente a una commemorazione a Berlino. Monti ha parlato dell’euro esattamente al contrario di Berlusconi: «Se l’Italia non avesse fatto parte dell’euro dodici anni fa, ci sarebbe più inflazione, politiche meno disciplinate e meno rispetto per le generazioni future». Sintetizzando in un «saremmo irrilevanti», Monti aggiunge quel che si vuole sentire in Europa: ciò che chiede di fare l’Unione europea, in termini di risanamento dei conti e di stimolo allo sviluppo, è «quel che dovrebbe essere chiesto a ogni paese per una maggiore crescita», e si capisce che è pronto a ridare qualche schiaffo in giro, a cominciare dai francesi.
Dietro di lui, oltre alla claque all’italiana che lo spinge al governo ( per il quale sarebbe già  al lavoro da qualche mese), ha molta gente che conta. Se da presidente del consiglio sarà  costretto a lasciare la presidenza della Bocconi («libera un posto di lavoro», dice un maligno ex universitario), dovrà  abbandonare anche la carica di presidente della sezione europea della Trilateral, come prevede lo statuto quando un suo componente assume incarichi di governo. La Trilateral ha quasi 40 anni di vita, è stata fondata dalla famiglia Rockfeller (dalle ricchezze immense) e ha come missione (sempre da statuto) «sviluppare proposte pratiche per un’azione congiunta». Che significa? La sua influenza sulle cose del mondo (e dunque sulle nostre) è potenzialmente enorme, contando su circa 3.000 iscritti di tre continenti: soltanto banchieri, top manager, ex diplomatici, giornalisti. Di italiani, oltre a Monti e a una sfilza di uomini di finanza, ci sono il presidente della Fiat John Elkann (tra i primi a spendersi per il suo presidente trilaterale) e personaggi più discussi come il presidente di Finmeccanica, Pier Francesco Guargaglini.
Monti è attualmente anche consigliere internazionale della Goldman Sachs, la più nota della banche d’affari del mondo. Un posto dove le regole del mercato hanno un valore vicino allo zero, come insegna la grande crisi del 2008 e svela un’occhiata ai bilanci, con i soldi veri che si fanno ancora con i derivati. Dicono che in realtà  non sia un posto così infamante, dato che del giro fanno (o fatto) parte Mario Draghi, Gianni Letta e Romano Prodi. Nell’aprile del 2010, la Sec, l’autorità  statunitense che vigila sulla borsa, ha comunque incriminato la banca d’affari, accusandola di frode. Sarebbe bello che il consigliere Monti liberasse intanto un altro posto di lavoro, con la disoccupazione che c’è.


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