La linea: «bruciare» tutte le alternative

Loading

ROMA — La crisi dell’epopea berlusconiana è la nemesi del conflitto d’interessi. Il leader a cui l’Italia ha condonato per diciassette anni l’intreccio tra politica e impresa, ora si lamenta del «conflitto d’interessi» di chi l’ha abbandonato pensando a se stesso, alla propria ricandidatura in bilico, alla propria pensione da parlamentare a rischio, alla propria stanza persa al gruppo o al partito. E per quanto si tratti di «un’amara consolazione», fa piacere a La Russa «sentire come ci venga riconosciuto che tra i malpancisti non ci sono parlamentari di provenienza An, ma forzisti della prima ora». In effetti sono starlette e berlusconiani a fine corsa quelli che — dopo la nascita del Fli — hanno aperto una crepa nella linea Maginot costruita alla Camera dal Cavaliere. Che si appresta così al finale della storia, e che però il finale vuole scriverlo.
Quanto sarà  lungo questo capitolo, è ancora da vedere. Dopo l’approvazione della legge di Stabilità  â€” come ha garantito a Napolitano — Berlusconi darà  le dimissioni da premier e si aprirà  una fase di cui si vedono già  i primi effetti. Il Pdl rischia l’implosione, l’area che fa capo a Scajola minaccia di lasciare il partito, dando voce alle preoccupazioni di altri dirigenti — da Frattini a Formigoni — che si sono già  espressi contro le elezioni anticipate. A dire il vero quasi tutto il Pdl vorrebbe allontanare il momento delle urne, ma Berlusconi a questa prospettiva ha già  detto no, chiudendo ogni spazio di manovra. Va dunque messa in preventivo un’altra diaspora che — in via ipotetica — potrebbe portare alla nascita di un gruppo parlamentare pronto a sostenere un nuovo esecutivo.
L’idea di un simile governo non è però contemplata da Napolitano e non piace nemmeno al Pd: sarebbe come offrire un assist a Berlusconi, «che farebbe bingo» — come sussurrava ieri sera un fedelissimo del Cavaliere — griderebbe al «ribaltone» e avvierebbe nel Paese una forsennata campagna elettorale, mentre in Parlamento la nuova maggioranza sarebbe intanto chiamata a varare misure economiche draconiane. È questa un’opzione che viene quindi scartata in partenza, visto che il Quirinale intende muoversi nella crisi evitando strappi rispetto a un sistema bipolare, per quanto ormai malconcio.
In ogni caso, anche dopo le dimissioni, le mosse di Berlusconi resterebbero determinanti nel gioco delle consultazioni, visto che — come ha ricordato ieri il premier — «al Senato abbiamo ancora la maggioranza». Eppoi perché tanto il presidente del Consiglio quanto Bossi hanno provveduto a far terra bruciata. A partire dal governo di centrodestra «allargato» al Terzo Polo, l’arma di cui si era dotato nel Pdl e nella Lega il vasto fronte avverso alle urne. Nel giro di un paio di giorni il Cavaliere e il Senatur hanno affossato la soluzione di un gabinetto guidato da Gianni Letta. L’apertura di credito ad Alfano, avanzata ieri pubblicamente dal capo del Carroccio, è stato un modo per chiudere definitivamente al sottosegretario alla presidenza del Consiglio.
È non è un caso se ieri Bossi ha invitato Berlusconi a fare un «passo di lato», avanzando il nome del segretario del Pdl: usando le parole d’ordine di Maroni, si è mosso per contenere le mosse del ministro dell’Interno. La candidatura di Alfano sembra però arrivare fuori tempo massimo. Fosse stata giocata prima avrebbe potuto determinare effetti dirompenti sul Terzo Polo, mettere in difficoltà  l’Udc davanti alle pressioni delle gerarchie ecclesiali, saggiare la tenuta del Fli, che si era detto disponibile a considerare l’ipotesi di un altro premier indicato dal Pdl. Ma in politica il timing è decisivo. Casini — intuendo il rischio — già  la scorsa settimana si era premurato di dire che non avrebbe appoggiato un esecutivo senza la compartecipazione del Pd.
D’altronde gli obiettivi del capo dei centristi sono evidenti: affossare Berlusconi, far saltare il Pdl (che ne vincola la capacità  espansiva) e impedire ad Alfano di incarnare il ricambio generazionale. Per Casini insomma, «Angelino» va soffocato (politicamente) nella culla: sono le urne il suo orizzonte. A parte la prenotazione degli spazi pubblicitari di affissione 6×3, un altro indizio a sostegno della tesi lo portava ieri il sottosegretario Galati, scuola democristiana: «Se Pier Ferdinando avesse voluto trattare con Berlusconi, non avrebbe imbarcato i transfughi del Pdl nel gruppo dell’Udc, ma li avrebbe parcheggiati nel gruppo misto. Quello è stato un segnale di guerra».
Se così stanno le cose, con margini così esigui, resterebbe il governo di responsabilità  nazionale, l’opzione sulla quale Napolitano potrebbe spendersi. Gli stati maggiori del centrodestra e del centrosinistra sarebbero stati avvisati dal Colle, pronto a un giro di consultazioni sul nome del professor Monti. Per verificare se esistono margini e impedire un prolungamento della crisi (di fatto aperta), il presidente della Repubblica ha chiesto e ottenuto che le Camere nel giro di due settimane varino la legge di Stabilità . Anche in questo caso c’entra il timing, sebbene il percorso politico appaia accidentato.
È vero, come dice La Russa, che «dopo le dimissioni di Berlusconi ci proveranno a fare qualche gioco». Ma i giochi sembrerebbero chiusi. Con il Cavaliere che continua a parlare di elezioni, bloccando chi nel Pdl vorrebbe evitarle, potrebbe mai il Carroccio dare l’assenso a un governissimo contro cui Bossi si è sempre schierato? Solo così si riaprirebbe la partita, se nella Lega e nel Pdl si aprissero falle di tali dimensioni da sancire la disfatta contemporanea dei due leader. E per il momento non ci sono le avvisaglie di un «venticinque luglio» per Berlusconi e il Senatùr.
Restano così solo le urne, a cui il premier intende arrivare da palazzo Chigi, lanciando Alfano come suo successore per la sfida elettorale. A meno che l’approssimarsi delle elezioni non induca gli «indisponibili» a rendersi nuovamente disponibili con Berlusconi: il volto atterrito di alcuni di loro ieri in Transatlantico, l’allarme lanciato da Di Pietro sulla possibilità  che il Cavaliere usi queste settimane per «ricompattare la maggioranza», e le parole del premier secondo cui «con la fiducia noi avremmo sempre i numeri», sono tre indizi…


No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment