La virata di Bossi: evitare le urne ora «o le prendiamo»

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MILANO — Alla faccia di chi dice che Umberto Bossi non sa tenersi. «Chiedete a Napolitano» ha risposto ieri sera ai giornalisti che gli domandavano lumi sul futuro. Che è davvero sublime understatement rispetto a quel che passa nelle viscere della Lega.
La linea la sintetizza la Padania oggi in edicola: «Legge di stabilità , poi il voto». Quindi: «Bossi: sul futuro decide il Quirinale. Lega contraria a esecutivi tecnici». Ma, appunto, quella è la linea ufficiale. «Glielo avevamo detto, a Berlusconi. Gliel’abbiamo cantato e stracantato — si accalora un dirigente di prima fascia —: ad ogni ora che lasci passare, perdi potere contrattuale. Tu e tutta la coalizione. Se poi commetti la follia di andare alla conta in aula, autocertifichi il passaggio: da leader in difficoltà  a premier senza maggioranza». E così, lo stato maggiore leghista ha assistito con genuino stupore, ieri sera a palazzo Grazioli, all’intemerata del premier sulla possibilità  di «acquisire» almeno una decina di deputati prima del voto di fiducia. Ed «eventualmente cadere in Aula per andare così subito al voto».
Ma attenzione: l’umore nel Carroccio è tutt’altro che luttuoso. Al contrario. Arrabbiatura a parte, tra le camicie verdi sono pochissimi quelli che piangono sulle sorti del governo. Qualche dubbio? Chi fosse passato ieri sera dall’osteria de Memmo, a due passi dal lungotevere Marzio, avrebbe potuto gustarsi l’istruttivo spettacolo di un pattuglione di una sessantina di leghisti tra deputati e militanti toscani. Tutti di ottimo umore. Euforici, addirittura, nell’intonare il coretto «Padania libera… da Berlusconi».
In mattinata, del resto, Bossi aveva detto quel che fin lì non aveva ammesso mai: «Abbiamo chiesto a Berlusconi di fare un passo laterale». E cioè, le dimissioni per concordare un successore capace di non snaturare troppo la fisionomia del centrodestra. E magari allargarlo pure rispetto agli ultimi, sofferti numeri. L’idea considerata più praticabile era (e in realtà  resta) quella di un governo guidato da Angelino Alfano (o un altro uomo del centrodestra): «E chi dovremmo indicare? Bersani?» ha ironizzato Bossi.
La frase del leader leghista, tuttavia, suggerisce anche un’altra cosa: a dispetto delle affermazioni il Carroccio non smania per andare a elezioni. Alcune sere fa, anzi, Bossi — sia pure in sede riservata — lo aveva detto: «Se ci andiamo, le prendiamo». E dunque, ora che succede? Lo stesso deputato di rango sbuffa: «Napolitano ora potrebbe designare anche il suo cane, che i voti in Parlamento li trova. Chi parla di elezioni si illude. O fa finta». In ogni caso, rispetto a ieri, «il capo dello Stato sarà  costretto a chiedere tangibile garanzia di un allargamento della maggioranza. Il che fornisce a Casini una fastidiosa golden share».
Secondo il deputato, inoltre, immediatamente «diventerebbero tutti “responsabili”, e mica poi a torto: quale che sia il nuovo governo, il suo compito sarà  quello di rispettare il programma Ue secondo scadenza: a due, quattro, sei e otto mesi». Soprattutto: «Chi potrebbe votare contro gli impegni già  presi per la salvezza del Paese? Nel frattempo, si saranno svolti i referendum. A votare, semmai, si andrà  nel giugno prossimo».
Il sogno vero dei padani, tuttavia, è il governo Monti. Lo «star fuori un giro» indispensabile per poter rilanciare, dall’opposizione, le parole d’ordine che gli elettori leghisti vogliono sentirsi dire. Molti considerano infatti l’eventuale governo Alfano come un «prolungare la bollitura». Un esecutivo da tenere comunque, in qualche modo, a distanza: assai probabile che il Carroccio possa parteciparvi soltanto con un vicepremier, il nome che circola è quello di Roberto Calderoli. Mentre Roberto Maroni, come spiega un sostenitore, «potrebbe finalmente tornare ad avere le mani libere». Ma su tutto, c’è una sola convinzione che accomuna i sostenitori di Maroni e il cosiddetto Cerchio magico: «Berlusconi ha finito. In ogni caso non sarà  mai più il nostro premier».


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