Obama al capezzale dell’euro ma il G20 rischia il fallimento

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Spaventati dal caos decisionale europeo, i «cavalieri bianchi» Cina India Russia e Brasile si defilano. Cannes non sarà  un G20 segnato da aiuti risolutivi delle potenze emergenti agli anelli deboli dell’euro. Irritato dal referendum greco, anche Barack Obama diventa sferzante: «L’Europa ha le risorse per uscire dalla crisi, spieghi meglio quel che ha deciso, applichi d’urgenza le misure concordate». Ciascuno per sé, e si salvi chi può. A giudicare dal clima delle ultime ore, questo G20 di Cannes rischia già  il fallimento. Che lascia Obama isolato sul fronte che lui considera decisivo: smettiamola di parlare solo di tagli ai deficit, è l’ora di rilanciare «una strategia comune per la crescita e l’occupazione». Questo pressing americano è vanificato, l’agenda del summit è sconvolta, e il perché lo riassume Robert Zoellick presidente della Banca mondiale: «Se il referendum greco va male, all’orizzonte c’è il caos». Tanto che alla Casa Bianca la pressione su Angela Merkel e Nicolas Sarkozy punta sempre più in alto: fino a evocare ufficiosamente delle riforme istituzionali che rendano più efficace e coercitivo il «commissariamento» dei Paesi deboli come Grecia e Italia.
La delusione più cocente rispetto alle aspettative (esagerate) su questo G20 viene dal fronte dei Bric cioè Brasile, Russia, India e Cina. Erano stati dipinti come i salvatori dei Piigs cioè Portogallo Irlanda Italia Grecia e Spagna. Da una parte, i colossi emergenti che grazie alla crescita vigorosa e all’export hanno accumulato ingenti riserve valutarie (campionessa la Cina: 3.200 miliardi di dollari), dall’altra i paesi a rischio default dell’eurozona che devono collocare titoli del debito pubblico.
L’incontro sembrava perfetto, la complementarietà  totale: d’altronde non è forse interesse di cinesi russi e brasiliani impedire che affondi il principale mercato del mondo che è l’Unione europea? Ma ieri il presidente cinese Hu Jintao nella sua tappa d’avvicinamento al G20, in Austria, è stato sibillino: «Sono convinto che l’Europa sia in grado di farcela». Pechino ha annusato il bidone, da quando gli esperti della sua banca centrale e del suo fondo sovrano hanno analizzato da vicino il meccanismo dell’Efsf, il fondo salva-Stati nel quale l’eurozona spera di attirare una generosa partecipazione delle nazioni emergenti. I cinesi hanno decifrato l’architettura barocca di quello strumento. E hanno capito due cose. Primo: i «veicoli a destinazione speciale» in cui Pechino dovrebbe investire per comprare Btp italiani o bond spagnoli non offrono garanzie assicurative sufficienti, e assomigliano alla «finanza strutturata» dei mutui subprime. Secondo: facendo bene i conti dentro l’Efsf, Pechino ha l’impressione che si voglia attirare un contributo cinese superiore a quel che è disposta a metterci la Germania. Ecco il senso della frase di Hu Jintao sull’»Europa ha i mezzi per farcela». I cinesi continueranno a comprare bond italiani e degli altri Pigs, come fanno da tempo, ma sullo sforzo eccezionale che gli viene richiesto attraverso l’Efsf la prudenza è d’obbligo.
Come ha detto l’agenzia ufficiale Nuova Cina: «L’eurozona non si aspetti che la Cina sia il salvatore che la porterà  fuori dalla crisi». Gli alleati nel club dei Bric non sono meno riottosi. Ha aperto le ostilità  il ministro brasiliano dell’Economia, Guido Mantega, poi seguito dai colleghi russo e indiano. La linea comune di Brasilia-Mosca-Delhi è questa: «Preferiamo convogliare i nostri prestiti all’eurozona attraverso il Fondo monetario, è lo strumento istituzionale per farlo. E il Fondo applichi regole uguali per tutti, agli europei come alle nazioni emergenti». L’Fmi ha mezzi accresciuti, questo lo ha ricordato anche l’Amministrazione Obama: le sue risorse sono state quasi quadruplicate dopo la crisi del 2008. Ma chi si aspetta un «piano B», un cordone di salvataggio attivato dal Fmi in modo speciale per Italia e Spagna, rischia di prendere un abbaglio. Lo ha spiegato un ex dell’Fmi, Domenico Lombardi ora alla Brookings Institution, chiarendo che si sta cercando di cambiare etichetta a delle «linee di credito flessibili» già  usate in passato per aiutare i paesi emergenti in difficoltà .
Il presidente della Banca mondiale Zoellick fa dell’ironia amara sui Paesi europei che hanno un reddito medio pro capite di 38.000 dollari annui e pretendono di essere salvati dalla bancarotta da una Cina dove il reddito pro capite è 4.000 dollari. Tutti i colossi emergenti arrivano a Cannes afflitti dai loro problemi. Dalla Cina al Brasile, ovunque la crescita rallenta (anche se per la Cina si prevede comunque +8,6% di Pil l’anno prossimo). In cambio dei loro aiuti, hanno molto da chiedere. Pechino vuole che cessino le pressioni per la rivalutazione del renminbi. La Russia attende sempre di essere ammessa al Wto. Il Brasile accusa la politica monetaria della Federal Reserve americana (tasso zero) di creare inflazione e bolle speculative nell’emisfero Sud. Tutti insieme vogliono contare di più, in ogni istituzione della governance globale. Il rapporto di forze si sposta a loro favore, ma non esiste ancora una leadership dei Bric in grado di indicare una rotta all’economia mondiale.
Quello era sempre stato il ruolo dell’America. E Obama ci prova. «Focus on growth» è la parola d’ordine che lui porta a Cannes. Vuole che il G20 si focalizzi sulla crescita. «Creare lavoro è l’emergenza più immediata, la priorità  vera del momento». Per rassicurare i mercati ci vogliono certo misure di risanamento dei deficit pubblici: da annunciare subito, in modo preciso e credibile, ma da applicarsi in una seconda fase, quando sarà  stata evitata una recessione-bis. Perché se il mondo viene risucchiato nuovamente in una recessione – il presidente Usa ne è convinto – la lotta ai debiti pubblici diventerà  impossibile. Ai Bric lui ripete la sua «dottrina del riequilibrio»: «Voi che avete finanze in ordine e forti riserve valutarie, dovete spingere sui consumi interni». Ma finché l’eurozona ha il cappello in mano, il potere contrattuale dell’Occidente verso i Bric è ai minimi. Le strategie di lungo periodo, l’attenzione alla crescita e al lavoro, tutto passa in secondo piano di fronte all’allarme nuovo che sintetizza alla Cnn l’ex chief economist dell’Fmi, Kenneth Rogoff: «Vista la forte possibilità  che la Grecia esca dall’euro, il dubbio si pone per l’Italia. Dov’è che la Germania traccerà  il limite insuperabile?».


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