“Ai figli della provetta bisogna dire la verità ”

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ROMA – Svelare il segreto, dire la verità . Anche se è difficile, controversa, a volte così complicata che il silenzio sembra la strada più semplice. Ai bambini nati con la fecondazione eterologa bisogna raccontare come sono venuti al mondo. E cioè che una parte del loro essere non “discende” geneticamente dalla mamma o dal papà , ma dal seme o dall’uovo di un donatore o di una donatrice, che così ha permesso la loro nascita. Desiderata, voluta, amata, ma “diversa”. Il consiglio, davvero autorevole, non arriva questa volta da uno studio scientifico, ma dal Comitato Nazionale di Bioetica, organo di consulenza del Governo, che ha pubblicato un documento in cui si affronta, per la prima volta, il tema delle origini nella fecondazione eterologa. Ma la particolarità  è che in Italia la nascita con donazione di gameti è tuttora vietata dalla legge 40, anche se a breve la Consulta dovrà  pronunciarsi sui ricorsi presentati da diversi tribunali italiani. Sono però ormai migliaia i bimbi nati nel nostro paese attraverso fecondazioni eterologhe avvenute all’estero.
«Ed è a loro che abbiamo pensato nella redazione di questo documento – spiega Lorenzo D’Avack, vicepresidente del Comitato Nazionale di Bioetica – ai tanti bambini già  nati che dovranno un giorno affrontare gli interrogativi legati alle loro origini, che i genitori invece continuano a nascondere. Perché riteniamo necessario che si capisca che non è “etico” verso un figlio mantenere il segreto sulle modalità  della sua nascita, così come hanno già  sancito molte leggi in altri paesi». Un pronunciamento importante, avanzato, e approvato, aggiunge D’Avack, «all’unanimità  e soltanto con un voto contrario». Ma raccontare ad un figlio «sei nato con il seme di un donatore o di una donatrice», è soltanto l’inizio. «Perché sancito il diritto alle origini – aggiunge D’Avack, il problema è che cosa deve essere detto. Stabilito che per il “nato” è fondamentale poter accedere ai dati genetici che lo riguardano per la tutela della sua salute, il Comitato si è poi diviso sul diritto o meno del figlio nato da fecondazione eterologa ad accedere anche ai dati anagrafici del donatore, che alcuni ritengono indispensabili per la ricostruzione della sua identità  personale». Dati che com’è noto si possono trovare sui registri conservati dalle banche dei gameti.
Insomma quello che il Comitato di Bioetica afferma è che ai bambini bisogna dire la verità , qualunque essa sia, in linea con quanto nel tempo è avvenuto nei casi di adozione. Ma che bisogna fermarsi sulla soglia del nome e della privacy del donatore. «Quasi sempre ciò che accade quando i figli riescono a rintracciare il nome del donatore e della donatrice, e poi ad entrarci in contatto, sono grandi delusioni. Come del resto dimostra quel bel film “I ragazzi stanno bene”, quando l’arrivo del padre “biologico” in una famiglia di madri omosessuali sconvolge tutti gli equilibri del gruppo».
Dunque un passo in avanti con il paradosso però che tutto questo in Italia è proibito. Però i bimbi dell’eterologa in Italia esistono. E dunque per molte associazioni il parere del Comitato di Bioetica potrebbe aprire nuovi scenari. «Ora ci aspettiamo che la Consulta – afferma la presidente di “Madre Provetta” Monica Soldano – rimuova il divieto di fecondazione eterologa perché incostituzionale». E il parere dei bioeticisti è un “segnale” verso una nuova tutela dei diritti, secondo l’avvocato Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Coscioni, che annuncia l’arrivo di un nuovo disegno di legge. «Si tratta di un testo che sarà  presentato nelle prossime settimane, che prevede appunto il doppio binario, donatori anonimi e non, con la possibilità  per la coppia di scegliere e per il nato di sapere, nel rispetto delle libertà  con il principio base della donazione gratuita».
Ma quanti sono i bimbi nati con la fecondazione eterologa? Erano cira il 12% di tutte le nascite prima che la legge 40 nel 2004 non vietasse questo tipo di fecondazione. Oggi secondo le stime dell’Osservatorio sul turismo procreativo in 36 centri stranieri, sono oltre 2.700 le coppie italiane che si recano all’estero per poter ricorrere alla fecondazione con l’apporto di gameti esterni alla coppia.


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