Bengasi manifesta contro il nuovo governo

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«Il popolo vuole far cadere il Consiglio di transizione, il popolo vuole una nuova rivoluzione». Centinaia di persone hanno di nuovo manifestato ieri a Bengasi, nella Libia orientale, contro il Consiglio nazionale di transizione (Cnt). Stesso scenario, il giorno precedente e sempre in quello che è stato l’epicentro della rivolta contro Muammar Gheddafi: «Bengasi svegliati», dicevano i cartelli. Non è ancora la risposta all’ultimo appello del raìs, che invitava i libici a «sollevarsi a milioni contro i collaboratori della Nato», ma di certo il paese non s’identifica con i nuovi governanti; né questi ultimi (e i loro padrini occidentali) hanno portato stabilità  e benessere alla «popolazione civile» che hanno preteso difendere distruggendo il paese.
Gli scontri armati fra le milizie delle diverse regioni si moltiplicano. L’aeroporto di Tripoli è stato chiuso a causa della guerra fra la milizia di Tripoli e quella di Zenten che controlla l’aeroporto della capitale. L’11, vicino all’aeroporto, due commando berberi hanno cercato di assassinare il generale Khalifa Hifter, attuale capo di stato maggiore dell’esercito (e uomo degli Usa).
Bande di islamisti radicali distruggono i negozi sospettati di vendere alcolici e – secondo testimonianze raccolte a Misurata, dov’è stato linciato Gheddafi, – saccheggiando le case degli africani neri, accusati di aver combattuto nelle forze armate del Colonnello.
Ieri, il ministro dei Trasporti, Yussef Louhishi, è stato costretto a negoziare un accordo con i controllori di volo che avevano paralizzato il traffico con uno sciopero negli aeroporti di Tripoli e Bengasi. I cittadini accusano il Cnt di «poca trasparenza» nelle decisioni, chiedono «stipendi e condizioni di vita decenti», protestano contro «l’aumento dei prezzi».
Il Cnt si è impegnato a fare di Bengasi la «nuova capitale economica», ma la fine di Gheddafi ha portato stabilità  solo alle multinazionali come Eni (sponsor del nuovo ministro del petrolio Ben Yaza), la cui produzione di idrocarburi in Libia ha raggiunto il 70% delle potenzialità  che aveva prima della guerra contro il raìs.
Per contenere la protesta popolare e la richiesta di trasparenza, Mustapha Abdel Jalil, capo del Cnt ha promesso di isituire un sito internet con i nomi di tutti i suoi membri e, al più presto, un nuovo giornale: con i soldi del Qatar. Il portavoce e vicepresidente del Cnt, Abdulhafeedh Ghoga, ha inaugurato a Doha, capitale dell’emirato patria di Al-Jazeera, un nuovo sistema di media in Libia.
Il Qatar, principale finanziatore e fornitore di armi alle milizie libiche (per lo più islamiche) conta di dirottarne buona parte all’Esercito di liberazione siriano (Esl), basato in Turchia. Abdelhakim Belhadj, governatore militare di Tripoli ed ex di al-Qaeda, inseguito da un mandato di cattura internazionale, ha infatti tentato di entrare in Turchia con un passaporto falso: inviato in missione presso l’Els.
Il Qatar, che ha investito molto in termini militari durante la guerra contro Gheddafi, vedrà  il suo ruolo aumentare. Secondo il generale Hamad ben Ali al-Attiya – «si farà  carico del proseguimento delle operazioni in Libia dopo la fine della missione dell’Alleanza atlantica»; e sarà  presto a capo di una nuova alleanza militare che comprenderà  13 paesi, fra cui gli Stati uniti, la Gran Bretagna, la Francia.
Nella scelta dei consiglieri militari, l’emirato ha favorito i gruppi islamisti come quello di Belhadj, o i Martiri di Abu Salim, diretto da Abu Sofiane Qumu, un ex di Guantanamo. E ora favorisce lo storno di armi e uomini verso l’Els, per accrescerne le potenzialità  operative e per esportare in Siria il modello libico.


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