Berlino: “Domineremo la crisi del debito” ma gli spread minacciano l’accordo europeo

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NEW YORK – Il copione è classico: bastano 48 ore e si dirada la sicurezza che il vertice Ue – l’ultimo di una lunga serie di eventi definiti «storici» – abbia scritto la parola fine alla crisi di fiducia verso l’eurozona. Vale anche per il summit del 9 dicembre a Bruxelles. Storico, forse: per la decisione di lanciare il nuovo trattato sull’unione fiscale. Ma non abbastanza risolutivo da impressionare il mercato dei bond. Cioè l’unico mercato che conta, perché le Borse in rialzo ieri sono un termometro marginale. Quel che importa sono i titoli di Stato, e su quel fronte gli spread restano paurosamente elevati. Nel coro di reazioni, la più positiva è quella del ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble: «Sono convinto che riusciremo a dominare la crisi del debito». Di segno opposto però il commento del cancelliere austriaco Werner Faymann, che pure appartiene alla stessa sfera dell’Europa germanica o virtuosa: «Il muro anti-incendio che abbiamo non possiede la forza sufficiente per dissuadere la speculazione». Il tarlo del dubbio s’insinua anche a Parigi, dove si celebra per Nicolas Sarkozy una vittoria politica ma cresce l’attesa di un imminente declassamento del debito francese da parte di Standard&Poor’s. Sia chiaro: le agenzie di rating hanno perso (meritatamente) molta della loro influenza; una serie di downgrading recenti sono passati senza impatto sui mercati, e tuttavia in Francia si dà  per scontato che la perdita della tripla A possa costringere Sarkozy a varare una manovra supplementare di tagli di bilancio. Non è particolarmente confortante il punto di vista degli Stati Uniti. Tra New York (Wall Street) e Washington (Casa Bianca e Fmi) si ha il distacco dagli eventi europei che può dare una visione più accurata; qui si muovono anche quei «poteri forti» della finanza globale che possono orientare i mercati da lunedì mattina. Perciò il panorama dei giudizi sulla grande stampa Usa non rende ottimisti. Troppe «domande aperte affligono il nuovo patto europeo», così intitola in prima il Wall Street Journal, che prevede «mesi di tira-e-molla fra gli Stati membri» per definirne i contenuti, e «il rapido esaurirsi dell’ottimismo quando i mercati andranno a vedere i dettagli». Stesso scetticismo sul New York Times che in prima pagina parla di un’Europa dove «prevale la visione tedesca», per poi sottolineare nelle analisi che «se le Borse hanno reagito bene il primo giorno, conta di più la reazione del mercato dei bond dove invece è mancato ogni entusiasmo e gli spread restano alti». Ovunque sono esposti eloquenti grafici a colori sul fabbisogno di rifinanziamento dei debiti pubblici nei paesi più fragili: il vero test arriva nel 2012 con una massa di titoli pubblici in scadenza. Per la precisione, l’Italia avrà  in scadenza nel biennio 2012-2013 dei Btp e Bot per quasi 600 miliardi di euro; la Spagna 334 miliardi; il Belgio 109; la Grecia 96, Portogallo e Irlanda quasi 50 ciascuno. E’ con queste cifre sui loro schermi radar, che gli investitori in titoli di Stato continuano a pretendere dai titoli pubblici italiani e spagnoli rendimenti intorno al 6%. Per quanto sia leggermente sceso venerdì dopo l’accordo di Bruxelles sull’unione fiscale, il divario dei tassi fra i Btp decennali italiani e i buoni tedeschi di analoga durata resta ai massimi storici, con l’esclusione di alcune punte ancora più elevate registrate nell’ultimo mese. Tutti gli osservatori americani tornano a ribadire la critica di fondo dell’Amministrazione Obama: attenta Europa, il tuo vero deficit è la crescita, e questo patto fiscale non fa nulla per rimediarvi. Anzi, proprio il trionfo della «filosofia tedesca» appare su questa sponda dell’Atlantico come una garanzia che l’Europa sarà  risucchiata nella recessione, causa le politiche di aggiustamento ferocemente rigoriste che drenano potere d’acquisto dalle famiglie. Il quadro d’insieme di queste perplessità  dà  un peso particolare alla grave profezia che il Financial Times sbatte in prima pagina: un attacco speculativo contro uno degli Stati dell’eurozona resta possibile a brevissima scadenza, entro il Natale. A meno che la Bce abbandoni la sua prudenza, e Mario Draghi annunci una vera svolta nelle sue politiche di sostegno alle banche e ai debiti sovrani.


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