Francia-Germania. Isteria coniugale

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Nella settimana appena cominciata, che si concluderà  con il vertice europeo del 9 dicembre, il rapporto franco-tedesco sarà  ancora una volta cruciale per un’eventuale uscita dalla crisi. In un momento simile ogni sbaglio dovrebbe essere riconosciuto e corretto, e ogni errore di prospettiva dovrebbe essere evitato.

Lo sbaglio, grave, è rappresentato da tutte le voci antitedesche che si sono levate prima del fine settimana. “Un’Europa con la forza” (Marine Le Pen, Fronte nazionale); “la politica alla Bismarck della Merkel” (Arnaud Montebourg, socialista); Nicolas Sarkozy è diventato il “Daladier di Monaco” (Jean-Marie Le Guen, socialista. Il riferimento è al patto con Hitler del 1938); “capitolazione” (Martine Aubry, segretaria del Partito socialista). Queste parole rischiano di “risvegliare vecchi demoni”, per riprendere il titolo dell’ottimo libro dell’economista Jean Pisani-Ferry.

Rifiutare questi atteggiamenti che insultano la storia non significa non poter criticare il nostro grande partner: la sua lentezza a reagire negli ultimi due anni alla crisi dell’euro e la sua ossessione per la disciplina di bilancio sono decisamente discutibili alla luce della recessione. Ma le parole non sono mai innocenti, e le affermazioni di Franà§ois Hollande (candidato socialista alle elezioni presidenziali francesi del 2012) sul Journal du dimanche (“Evitiamo le parole che feriscono”) rimangono molto timide.

Bisogna inoltre dire che la forza di Berlino è anche la debolezza di una Francia la cui credibilità  finanziaria è in crisi da molto tempo. I francesi vogliono bene all’Europa, a condizione che sia francese.

L’errore di prospettiva riguarda invece i mezzi per risolvere la crisi. Le discussioni tra la Francia e la Germania si concentrano sulle sanzioni automatiche contro i paesi spendaccioni; sulla riforma dei trattati (Come? Quando? A 27 o a 17 membri?) e sul ruolo della Corte di giustizia, i cui interessi sulla natura dell’Unione sono reali. Questi negoziati vertono sui mezzi per tranquillizzare i creditori assicurando che i loro crediti non saranno cancellati. Ma in realtà  questo accordo, anche se necessario, non sarà  sufficiente.

La soluzione contro il clima di sfiducia che interessa i mercati (le uscite dei capitali, il fatto che le imprese prendono a prestito a interessi più bassi rispetto allo stato) rimane ancora nelle mani della Banca centrale europea, l’unica in grado di rassicurare la zona euro. La maggiore tranquillità  osservata in questi giorni sui tassi di interesse (lo “spread” franco-tedesco è passato da 220 a 100 punti in dieci giorni) si spiega con l’atteggiamento più aperto di Mario Draghi, il suo presidente. Insomma, tutte le strade portano a Francoforte. (traduzione di Andrea De Ritis)


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