Se il sindacato torna a fare il suo mestiere

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Questa protesta segnala una ripresa dell’opposizione sociale in cui neppure i diretti interessati credevano più. Tanto è vero che lunedì scorso, subito dopo il varo della manovra Monti, era scattata la rincorsa a distinguersi fra sigle concorrenti. La Cisl e la Uil, più leste, avevano proclamato in tandem uno sciopero generale di due ore per il 12 dicembre; la Cgil, irritata dallo scavalcamento, raddoppiava proclamando un’astensione dal lavoro di quattro ore nello stesso giorno. Naturalmente con manifestazioni separate, e la solita sfida a contarsi. I pronostici degli esperti in disunione sindacale, materia noiosissima eppure sintomatica del ginepraio in cui è degenerata la rappresentanza degli interessi sociali in Italia, davano per impossibile la ricucitura, neanche di fronte alla più massiccia penalizzazione del mondo del lavoro decretata da molti anni a questa parte. Invece, mercoledì 7 dicembre, grazie a un’estrema mediazione della Uil, i riottosi segretari confederali si sono seduti allo stesso tavolo e ci hanno messo pochissimo a constatare come quel ritrovarsi fosse una scelta obbligata. La richiesta che saliva dal basso – dare tutela e rappresentanza ai tartassati, nonché denunciare l’eccesso di indulgenza governativa a favore dei ricchi – si è tradotta nelle tre ore di sciopero generale programmate domani, ma soprattutto in un documento firmato Cgil-Cisl-Uil con poche, nette proposte di modifica della manovra, recapitate al governo e al Parlamento. Mario Monti dimostra di prendere molto sul serio questa necessitata unità  sindacale a denti stretti, motivata dal dovere di contrapporsi al suo governo. Il confronto domenicale proposto da Monti ai segretari confederali nell’immediata vigilia dello sciopero, è molto più di un atto di cortesia che lo distingue dall’insensibilità  del governo precedente. Il primo ministro sa bene che l’annunciato mini-emendamento per adeguare al costo della vita le pensioni fino a 1200 euro, e per alleggerire la tassa sulla casa dei redditi deboli, ben difficilmente basterà  alle confederazioni per decidere una revoca dell’astensione dal lavoro. Ha messo nel conto il conflitto sociale provocato dal suo piano anticrisi, e poiché non lo sottovaluta, cerca di approntare canali di dialogo con le organizzazioni più rappresentative di un malcontento troppo vasto per essere ignorato. In altre parole, il governo che di fatto ha commissariato la politica riconosce l’accresciuto ruolo di una nuova, potenziale opposizione. È su questo delicato crinale della sofferenza sociale che il Pd vive il suo disagio esistenziale. Perché anch’esso è partecipe di una politica sfiduciata dall’opinione pubblica e ne patisce l’irrilevanza di cui il governo tecnico è la più plateale manifestazione. Mentre il Parlamento si appresta a ratificare con disciplina il piano anticrisi dei tecnocrati, tocca ai sindacati interpretare un ruolo pubblico insostituibile al quale forse si erano disabituati. Nessuno può pensare che un’opposizione seria, condotta nel nome dell’equità  sociale e territoriale, della lotta all’evasione fiscale e del riequilibrio nella distribuzione della ricchezza, resti in Italia appannaggio della Lega e dell’Idv di Di Pietro. Se oggi, nella bufera dell’eurozona, prevale ancora la fiducia in un governo senza politici, ben presto emergeranno il malcontento e la diffidenza nei confronti di un’élite privilegiata le cui ricette paiono insufficienti a frenare la depressione economica, l’impoverimento generalizzato. Di fronte all’incalzare della crisi, comincia a serpeggiare il dubbio: e se la manovra non servisse a niente? Se i sacrifici che accentuano le disuguaglianze si rivelassero per giunta inutili? Si potrà  dubitare della credibilità  di certi sindacalisti che fino a ieri confidavano sul loro rapporto privilegiato con il governo Berlusconi, e, pur di avvantaggiarsene, sollecitavano l’esclusione della Cgil dai tavoli delle trattative. Ma talvolta i cataclismi economici giocano di questi scherzi; non sarebbe certo la prima volta che un leader sindacale moderato viene costretto dalle circostanze a dover rivestire tutt’altra parte in commedia. Attendiamoci dunque nelle prossime settimane nuove manovre di divisione sindacale, perché il solco scavato nel corso degli anni è profondo quanto i rancori accumulatisi; né mancheranno purtroppo le provocazioni di piazza contro i moderati, forse già  domani. Ma il cambiamento di fase sospinge nella direzione di questa unità  sindacale controvoglia, come dimostra anche la convocazione di uno sciopero generale “vero”, di ben otto ore, il prossimo lunedì 19 dicembre, nel settore del pubblico impiego. Di nuovo a firma Cgil-Cisl-Uil. Quanto alla Fiat, dove la lacerazione sindacale resta acutissima, temo ci penserà  Marchionne a togliere d’impaccio gli opposti contendenti, da Pomigliano a Mirafiori: Marchionne sta facendo di tutto per deludere la fin troppo generosa apertura di credito concessa da Bonanni e Angeletti. Non è pensabile che alla fiducia assicurata la settimana prossima dal Parlamento al governo Monti, corrisponda un’analoga fiducia del mondo del lavoro. Dipenderà , certo, ancora una volta, dalla superpotenza opaca dei mercati, i quali detengono la forza di far apparire patetici gli sforzi di risanamento dei professori. Se davvero i sacrifici richiesti si manifestassero inutili, chi tutelerà  la povera gente? Volenti o nolenti, ai sindacati toccherà  fare il loro mestiere. Magari riuniti a protestare, guardandosi in cagnesco, di fronte a Montecitorio. Mentre lì dentro i deputati votano a testa bassa.


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