Sfiduciati dalle istituzioni, ma alla ricerca della politica

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La primavera araba è stata considerata come una ulteriore testimonianza della espansione della democrazia. Questa interpretazione può essere tuttavia fuorviante, se si definisce la democrazia come forma meramente rappresentativa. Chi protestava e protesta a Tahrir Square non chiede solo elezioni libere, ma propone e pratica anche altre concezioni di democrazia che sono, se non opposte, certo in tensione con quelle della democrazia liberale, e risuonano invece con una idea partecipativa e deliberativa di democrazia. Non casualmente, quando il messaggio della primavera araba si è diffuso sul continente europeo, con gli Indignados soprattutto in Spagna e Grecia, e poi sul continente americano, con il movimento Occupy Wall Street, il tema della democrazia (“altra” e “ora”) è stato centrale, così come centrale è stata la critica ai rappresentanti eletti, accusati di essere catturati dagli interessi dell’1% contro il 99% della popolazione. Le occupazioni di spazi pubblici – delle tante piazza Tahir in Europa e nel mondo – hanno rappresentato non solo forme di protesta, ma anche prefigurazioni di altri modelli di democrazia, basati sulla partecipazione di tutti, in un dialogo rispettoso della diversità . Ad essere contestate sono quindi non solo le politiche dei governi, ma anche le loro traballanti basi di legittimazione. 
Queste tensioni tra diverse concezioni di democrazia emergono da una recente ricerca – condotta nel maggio scorso, quindi poco prima che in Italia si avviassero, sotto la forte spinta dell’Unione Europea, e di alcuni paesi europei, politiche di austerità , orientate ad un immediato far cassa, colpendo soprattutto i gruppi più deboli. La ricerca, svolta attraverso questionari, rileva le opinioni di chi ha partecipato, nel maggio del 2011, a tre manifestazioni per i diritti al lavoro e dei lavoratori, e contro le crescenti disuguaglianze sociali. Le tre manifestazioni coperte sono l’EuroMayDay a Milano, il Primo Maggio sindacale a Firenze, e, ancora a Firenze, il 6 maggio, lo sciopero generale della Cgil. 
Questi dati confermano, prima di tutto, che i partecipanti alla tre – diverse – manifestazioni condividono un’altissima sfiducia nelle istituzioni rappresentative. Governi e parlamenti nazionali vedono livelli di fiducia bassissimi (vedi tabella 1). Nonostante i partecipanti alle manifestazioni siano elettori (e anche talvolta membri) di partiti di sinistra e centrosinistra, la fiducia nei partiti non raggiunge il 7%, con punte dell’1,6% tra i partecipanti all’EuroMayDay. Seppure più alta, la fiducia nei sindacati raggiunge livelli critici, soprattutto se si considera che le manifestazioni coperte vedevano la partecipazione di attori sindacali: solo un terzo dei partecipanti, in media, e meno di un quinto per l’EuroMayDay, si fida dei sindacati. Sebbene la fiducia nell’Unione Europea sia più alta di quella nelle istituzioni nazionali, il giudizio resta – come vedremo – negativo. 
Confrontando questi dati con quelli raccolti, sulla stessa batteria di domande, ad altri eventi di protesta in Italia all’inizio degli anni duemila (tabella 2), si può notare come la – allora già  bassa – fiducia nelle istituzioni della democrazia rappresentativa (soprattutto parlamento e partiti) si sia addirittura ulteriormente ridotta. E si può aggiungere che, in generale, la fiducia è in caduta libera fra i più giovani. 
Questa altissima sfiducia nelle istituzioni rappresentative ha diverse spiegazioni. Soprattutto, partiti politici e istituzioni rappresentative sono percepiti come non più in grado, o non più interessati, a svolgere una delle loro più importanti funzioni, che ha legittimato le democrazie in passato: ridurre le diseguaglianze sociali. Mentre la globalizzazione neoliberista viene considerata da chi protesta (all’80%) come principale causa di un insopportabile aumento delle diseguaglianze, che dovrebbe essere (secondo l’86% degli intervistati) sottoposta ad un governo politico, parlamenti e partiti vengono considerati come disinteressati ad assolvere a questi compiti. Non solo le istituzioni nazionali, ma anche l’Unione europea appare a chi protesta come sostanzialmente incapace di difendere un diverso, e più sociale, modello di sviluppo e viceversa orientata (per due terzi dei partecipanti in media, fino a tre quarti per l’EuroMayDay) a rafforzare le conseguenze negative del neoliberismo. 
Chi protesta non chiede tuttavia una riduzione delle competenze delle istituzioni rappresentative. Seppure estremamente critici sul funzionamento delle istituzioni esistenti, gli attivisti intervistati chiedono un loro rafforzamento, e questo a tutti i livelli. In una situazione critica e complessa, chi protesta chiede che la politica torni a fare valere le sue ragioni sull’economia, lo stato (inteso in senso ampio) sui mercati (tabella 3). In maggioranze consistenti, coloro che protestano chiedono che istituzioni locali, nazionali, europee e globali – riformate e trasformate – tornino a fare quello che, come scrive Colin Crouch nel suo “Post-democrazie”, un tempo le democrazie sapevano fare: intervenire a ridurre le diseguaglianze prodotte dei mercati.
Seppure senza fiducia nelle istituzioni esistenti, chi protesta non vuole però un loro indebolimento. La critica della democrazia rappresentativa è una critica costruttiva – pervicacemente e nonostante tutto. A livello locale, nazionale o europeo, chi protesta difende la democrazia, chiedendo però una “democrazia vera”, capace di difendere i cittadini e i loro diritti, e contribuisce a costruirla.


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