Telefoni fissi, il costo dell’infedeltà  è stangata se si cambia operatore

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ROMA – Si paga per entrare e si paga per uscire. Sono i contratti di telefonia fissa (traffico voce e Internet), che, nonostante liberalizzazioni e decreto Bersani, celano ancora mille insidie per il consumatore. Insidie che sono scritte piccole piccole sui contratti e spesso relegate in fondo a moduli di pagine e pagine di clausole e articoli. Così succede che si viene attratti da costi di attivazione scontati del 50 per cento o addirittura nulli. Ma poi quando si decide di disdire, non solo si deve fare la caccia al tesoro sui siti e sui contratti cartacei per trovare la parola “disdetta”, ma si devono anche pagare tra i 40 e i 100 euro per cambiare operatore o interrompere la fruizione del servizio. Senza parlare di condizioni vessatorie se non si provvede entro una certa data a restituire gli apparecchi utilizzati in comodato d’uso per l’adsl.
L’Agcom, il Garante delle telecomunicazioni, è intervenuto per porre fine a questa sorta di Far West che di fatto violava – e vìola tuttora – le norme della libera concorrenza. Tant’è che l’Authority ha comminato multe a quegli operatori che fanno versare un “contributo” nel cambio di gestore: dall’entrata in vigore del decreto Bersani non si devono pagare né costi né penali per il cambio di operatore. «Nei contratti a scadenza bisogna dare comunicazione della disdetta 30 giorni prima della data di scadenza, in quelli non a scadenza si applica il recesso in ogni momento», spiega Antonio Vitale, esperto del sito specializzato Trovatariffe.it. «Il cambio di gestore deve essere gratuito perché i costi di attivazione di nuova linea vengono sostenuti, semmai, dal nuovo operatore, non dal vecchio. Eppure ancora diversi gestori, tipo Fastweb, chiedono, per la migrazione da 45 a 55 euro. Cifra giustificata come “ristoro” per i costi iniziali di attivazione, che normalmente vengono scontati fortemente. L’unico caso in cui il gestore effettivamente sostiene dei costi è quando c’è un trasloco di linea o una disdetta». Ma anche qui siamo in una terra di nessuno perché quando andiamo a chiedere quali siano, nel dettaglio, questi costi tecnici, l’operatrice del call center farfuglia qualcosa mettendoci dentro le parole “decreto Bersani”, senza conoscerne neanche il senso.
Poi c’è il paradosso di Teletu, che fa parte del gruppo Vodafone: per passare a Vodafone prima bisogna disattivare la linea, pagando 70 euro, e poi attivare il nuovo numero Vodafone, pagando il costo di attivazione di nuova linea e perdendo il vecchio numero. E se non si pagano i 70 euro si viene sollecitati in modo perentorio, al limite del minaccioso, dal vecchio operatore.
E non si sentono ragioni: si deve pagare comunque, anche se la disdetta avviene per un disservizio sulla linea, per esempio perché l’adsl va più lenta di ciò che il gestore aveva dichiarato e venduto. «In questo caso i clienti possono denunciare il disservizio ricorrendo alle associazioni di consumatori e alla conciliazione paritetica», dice Pietro Giordano, segretario generale Adiconsum. «Abbiamo avviato un dialogo con l’Agcom affinché metta un limite ai costi di disattivazione del servizio, ancora un ambito dove non c’è regolamentazione, dove non sono imposti dei parametri oggettivi minimi e massimi e in cui costi restano a discrezionalità  dell’operatore. Tra le questioni che abbiamo denunciato anche la pubblicità  ingannevole degli operatori che offrono una certa velocità  dell’adsl a secondo di quanto si paga, velocità  che non viene quasi mai garantita, o comunque non coincide con quanto dichiarato nella pubblicità , violando le regole della concorrenza».


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