Dal paradiso dei soldi all’inferno del crac il romanzo del prete-tycoon

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LA CUPOLA da 50 milioni di euro che svetta sul gineceo berlusconiano dell’Olgettina con le pettorute del bunga-bunga, il jet privato, le ville in giro per il mondo, le fazende brasiliane, i festini, la religione come paravento etico, gli affari, la politica, i ricatti, le tangenti, la camorra, i servizi segreti usati come armi mafiose contro i renitenti. Nulla si fa mancare il romanzo di don Verzé, il catto-satrapo per decenni adorato beniamino della pia e corriva borghesia milanese. La sua morte non è l’epilogo del romanzo criminale e di una bancarotta morale e finanziaria da almeno un miliardo e mezzo, ma l’incipit di una storia ancora tutta da scrivere che oscurerà  persino le gesta di molte delle cricche che hanno ritmato gli ultimi anni del berlusconismo. È forse il versante meneghino all’ennesima potenza della saga della banda della Magliana, ambientata stavolta non sotto la cupola di San Pietro, ma all’ombra di quella non meno imponente dell’ospedale San Raffaele, paradossalmente luogo di eccellenza medica e, al tempo stesso, di malaffare. Il rispetto per i morti non fa dimenticare i loro peccati. E nessuno dica che l’antiberlusconismo fa ancora velo maniacale in ogni vicenda che imbratta questo Paese, perché la storia del prete-tycoon nasce proprio di conserva con quella dell’ex palazzinaro milanese. Era la fine degli anni Sessanta quando il giovane Berlusconi, con l’aiuto del Monte dei Paschi di Siena, allora controllato da uomini della P2, comprò 700mila metri quadrati a Segrate e cominciò a costruirvi Milano-2. Unico neo del ghetto di lusso, le rotte degli aerei in partenza e in atterraggio da Linate. Occorreva spostarle e così il palazzinaro d’ingegno, che una volta ammise di aver pagato vagoni di tangenti per ottenere i permessi, regalò una fettina dei suoi terreni a don Verzé per costruirvi una clinica privata, i cui degenti non avrebbero potuto sopportare il rombo aeroportuale. Giorgio Bocca definì allora don Verzé «quello che allontana gli aerei». Perché il craxismo meneghino si mobilitò. Nacque Milano-2 e fu eretto il futuro mausoleo del prete-tycoon, che da allora paragonò Bettino Craxi a Gesù Cristo e gratificò Silvio Berlusconi delle stimmate di «dono di Dio all’Italia». A Formigoni, da quindici anni governatore della Lombardia per conto dell’affarismo del sistema di Comunione e Liberazione e dispensatore dei miliardi della sanità  regionale, toccò soltanto il paragone con l’arcangelo Raffaele. Ancora pochi giorni fa il presidente lombardo rivendicava la sua buona fede nel caso Minetti, perché la sua consigliera regionale gli era stata raccomandata – pensate un po’ – non solo da Berlusconi, ma proprio da don Verzé. Come se quasi tutti non sapessero dei variegati interessi terreni del prete di casa sul jet personale e a Bahia. Al seguito del pio Formigoni, di cui giorno dopo giorno emergono le pericolose amicizie politico-affaristiche che impiomberanno le sue inesauribili ambizioni da statista, la grande borghesia milanese, i Moratti – ramo Gian Marco e Letizia – gli Ermolli, gli illuminati frontisti di via della Spiga, dove parcheggiava la sua Ferrari Mario Cal, l’amministratore operativo della bancarotta che si uccise nel luglio scorso, i banchieri, da Mazzotta, ex Popolare di Milano, a Miccicché, Intesa, fino a Fiorani, protagonista dello scandalo Popolare di Lodi-Antonveneta. Non solo, nella rete di don Verzè, piena di camorristi, come quelli che si aggiudicavano i migliori appalti dell’azienda ospedaliera, sono finiti anche Nichi Vendola e un filosofo neghittoso come Massimo Cacciari. Dal leader del Sel, accreditato di «santità », il prete luciferino voleva l’ospedale San Raffaele anche a Taranto con finanziamenti pubblici. Ora la Puglia ha bloccato tutto. E Cacciari fu assunto nella sua facoltà  di Filosofia e Teologia: «Si vuole occupare lei – gli disse – del Logos fatto di carne?». La Scuola ateniese, per la verità , non nacque in Brianza, dove vanno più di moda gli affari, ma la pervasività  del vecchio prete bancarottiere dimostrò tutta la sua potenza. Un prete o un gangster, in un’Italia in cui tutto ormai si confonde? Le telefonate con l’ex capo del servizio segreto militare Nicolò Pollari, nobile figura di servitore dello Stato, sono del tipo Chicago anni Venti. Si tratta di terrorizzare un vicino perché non vuole cedere un terreno che serve al don. Prima mandandogli la Guardia di Finanza, poi, se occorre, sabotando il suo impianto elettrico, magari mandandolo pure a fuoco. In uno scenario del genere poteva mancare il Lavitola del caso? E infatti compare. Faceva il giornalista ed è il sodale di Piero Daccò, il faccendiere di Cl indagato per bancarotta e associazione per delinquere nell’inchiesta sull’ospedale di Verzé. Si chiama Antonangelo Liori e molti lo ricordano ancora direttore del quotidiano L’Unione Sarda che ancora era quasi sbarbato e odoroso di pecora delle sue parti. Legato al Cam Group International, Mario Gerevini e Simona Ravizza lo hanno collocato tra gli «avvoltoi del mercato» sulle macerie di società  fallite, spesso call center. Come dargli torto? «Se anche l’azienda fallisce – dice Liori al telefono – io continuo ad avere autista, villa ed elicottero». Questo bel tipo, radiato dall’Ordine dei giornalisti che qualche volta si sveglia, è stato condannato in appello a 8 anni e 6 mesi per la bancarotta della cartiera di Arbatax. Ma l’elicottero chi glielo toglie? Non certo la cricca del prete-tycoon che di faccendieri, tangentari, bancarottieri, ufficiali felloni ha fatto il suo esercito in nome di Dio. Un romanzo criminale ancora da scrivere che ha fatto irruzione persino nei sacri palazzi e che fa spettegolare di un contrasto tra il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, e il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei. Il primo aveva voluto l’ingresso del Vaticano nel San Raffaele in vista della costruzione di un polo sanitario della Santa Sede, unendovi l’ospedale di San Giovanni Rotondo e altre strutture della chiesa. L’altro non ne voleva sapere. Figurarsi il presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, che si dice sia molto stimato dal Papa, e che avrebbe dovuto mettere le mani al portafoglio. Forse allora per il lascito del prete della cricca ci sarà  via libera per il gruppo sanitario di Giuseppe Rotelli, berlusconiano della prima ora, che insieme alla partita sanitaria, gravata di debiti miliardari, gioca quella editoriale. Con il suo bel pacco di azioni del Corriere della sera da valorizzare in termini di potere.


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