Il discorso di Obama alla nazione “Un’economia al servizio di tutti per rilanciare crescita e occupazione”

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NEW york – «Torniamo ai valori che hanno fatto grande l’America. Oggi è in gioco la sopravvivenza della fondamentale promessa americana. Battiamoci per un’economia al servizio di tutti. Vi propongo un piano per una crescita fatta per durare». È un Barack Obama in assetto da combattimento, quello che parla al Congresso e alla nazione. «L’America è grande solo se ognuno gareggia secondo le regole, se ognuno ha le opportunità  giuste, se ciascuno si prende la sua parte di responsabilità . Se torna ad essere il paese dove chi ce la mette tutta, può farcela». Il presidente è lanciato verso la battaglia per la rielezione, sa che sarà  durissima. Il discorso sullo Stato dell’Unione, l’appuntamento politico più solenne dell’anno, gli serve per dare un senso a questa battaglia. 
È un discorso di strategia e di visione del mondo. «La sfida che definisce il nostro tempo – dice – è se in questo paese un numero sempre più ristretto di persone starà  sempre meglio mentre gli altri fanno fatica; oppure se costruiamo le condizioni in cui le regole del gioco sono eque e uguali per tutti». Offre una diagnosi allarmata, sulla condizione di «lavoratori e ceto medio impoveriti e resi meno sicuri per decenni», un declino «iniziato molto prima dell’ultima recessione», proprio in coincidenza con «l’arricchimento smisurato di chi sta in cima alla piramide». Obama il populista, accusa la destra; Obama che torna a parlare il linguaggio progressista, lo acclama la sinistra. 
La sua scelta di campo è resa visibile da un gesto simbolico: mentre il presidente parla al paese alle nove di sera, in diretta su tutte le tv, tra gli invitati di onore al Congresso insieme alla First lady Michelle appare una certa signora Debbie Bosanek. È la segretaria del miliardario Warren Buffett, resa celebre dal suo datore di lavoro. Buffett, di simpatie progressiste e obamiano della prima ora, rivelò di «pagare un aliquota fiscale molto inferiore a quella della mia segretaria». Gesto efficace, quell’invito alla segretaria, perché il discorso sullo Stato dell’Unione coincide con la pubblicazione della dichiarazione dei redditi di Mitt Romney. Il candidato repubblicano paga appena il 14% dei suoi redditi multimilionari, anche lui come Buffett è graziato dall’assurdo privilegio per i detentori di plusvalenze finanziarie. Ecco un tema forte su cui Obama è deciso a impostare la sua campagna per la rielezione: «Possiamo andare in due direzioni opposte». 
La destra è il partito del privilegio, del capitalismo senza regole, dello smantellamento di ogni protezione sociale. Rieleggere Obama vuol dire «difendere chi lavora, le classi medie, che sono state retrocesse implacabilmente». I repubblicani vorrebbero ridurre ulteriormente la redistribuzione fiscale, spingendo le aliquote più in basso di quanto osarono Ronald Reagan e George W. Bush. I repubblicani dalla parte di Wall Street, il presidente con la segretaria di Buffett: questa è la “narrativa” che il discorso cerca di imprimere sullo scontro dei prossimi nove mesi. L’economia al primo posto, dunque, anche se Obama sa che i numeri non gli sono favorevoli: dal dopoguerra nessun presidente è stato rieletto con l’8,5% di disoccupazione. Rivendica però «la creazione di 3,2 milioni di posti di lavoro nel settore privato negli ultimi 22 mesi; la rinascita di un’industria manifatturiera americana che ha ripreso a creare occupazione per la prima volta dagli anni Novanta». La sua presidenza ha fatto da argine, contro una recessione provocata nel 2008 «dal crollo di un castello di carte», cioè l’economia del debito, l’ipertrofia della finanza. 
Ma non è populismo, non è neppure anti-capitalismo quello di Obama. Anche qui è emblematica la figura di un’ospite: la vedova di Steve Jobs è anche lei a fianco di Michelle, a ricordare che il capitalismo migliore, quello rivoluzionario e innovativo della Silicon Valley, con questo presidente è sempre andato d’accordo. Obama rilancia temi tipicamente “californiani”, come la Green Economy che i repubblicani gli hanno ostacolato senza pietà . Annuncia la creazione di una speciale task force per contrastare la concorrenza sleale della Cina. Propone incentivi per le aziende che rilocalizzano forza lavoro negli Stati Uniti. Sfida i repubblicani sul terreno della difesa del risparmiatore, proponendo nuove norme contro le frodi e gli abusi dell’alta finanza. 
La politica estera non è in primo piano, e tuttavia Obama rivendica con orgoglio i suoi due successi più grandi. «Non ci sono più soldati americani che combattono in Iraq, per la prima volta da nove anni». È al suo attivo l’uccisione di Osama bin Laden, lo smantellamento di Al Qaeda: risultati che la destra cerca di svilire accusandolo di cedimenti ai nemici dell’America. Obama usa parole dure con l’Iran, non è questo il momento di offrire ramoscelli d’ulivo. Sa che una crisi internazionale – compresa un’eventuale ricaduta dell’eurozona – può ancora cambiare tutte le coordinate di quest’annata elettorale. Da qui a novembre, per lui è essenziale spostare il baricentro del dibattito: non un referendum sul presidente, ma una scelta tra due idee dell’America.


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