Ma la base tifa per l’ex ministro e tra i dirigenti è già  rivolta

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MILANO – «A questo punto non ce ne frega più niente, liberi tutti». È il tam tam che corre tra i maroniani non appena si diffonde la notizia della fatwa pronunciata da Bossi. Basta invitare “Bobo” alle iniziative pubbliche in terra lombarda, l’ex ministro non può più parlare con i crismi dell’ufficialità  di partito. Ma loro, gli amici dell’ex ministro, non ci stanno
Parte subito un giro di telefonate, parecchi segretari provinciali della Lombardia si mettono d’accordo e cercano di farsi coraggio così: «Adesso inviteremo Maroni dappertutto, non ci sarà  giorno in cui non organizzeremo sul territorio un’iniziativa con lui». Liberi tutti, appunto: ormai non c’è più nulla da perdere. Resta ancora un dubbio: l’ex titolare del Viminale, da novembre semplice militante di quel Carroccio di cui è uno dei soci fondatori, potrà  o no partecipare da leghista alla manifestazione contro il governo convocata domenica 22 gennaio a Milano? Potrà  salire sul palco, oppure – come hanno fatto trapelare quelli del Cerchio magico – dovrà  sottostare all’ordine di Bossi, che «non lo vuole più accanto, e lo ha già  fatto fuori dalla segreteria?».
Dubbi interpretativi che diventano mine vaganti. Se davvero dovesse andare così, ecco quello che succederà , secondo le previsioni di un dirigente varesino: «Appena Bossi comincia a parlare gli arrivano le uova, e si scatena un coro da non finire più: Ma-ro-ni, Ma-ro-ni». Già , la manifestazione. La Lega non vi rinuncia, nonostante quel che gira da un paio di giorni: troppo forti i timori di contestazioni dopo il voltafaccia su Cosentino, ma anche di clamorosi abbandoni. Il popolo del Carroccio è stanco e disorientato, qualcuno da via Bellerio aveva fatto filtrare un’indiscrezione: telefonate che disdettavano i pullman già  prenotati, per portare a Milano, da tutta la Padania, frotte di manifestanti inferociti con il governo dei «tecnocrati».
Bolle anche questo, dentro il disastrato pentolone leghista. Il momento è difficile. In via Bellerio, alla riunione di ieri, prima della sorpresa finale, fioccano gli altolà  ai dirigenti che parlano, e soprattutto dichiarano, «in modo difforme dalla linea del segretario federale». Bossi non si fa vedere, Maroni men che meno. Ed è lui, “Bobo”, il convitato di pietra. Nessuno lo nomina, ma si sprecano gli inviti a «evitare di parlare a vanvera». Questo si dice, nel fortino di via Bellerio. E forse anche per questo abortisce l’iniziativa di un gruppo di segretari provinciali che volevano presentare un documento di pesante censura di quel che ha fatto in tesoriere Francesco Belsito, la mente degli investimenti in Tanzania.
Parlano sul web, profilo facebok di “Bobo”, i ribelli che ancora non sanno della condanna. Stefano: «Quest’alleanza con il Pdl ci ha portato solo disonore e complicità  nel malaffare, che cosa abbiamo avuto in cambio? Chi ha sbagliato se ne vada». Giorgio: «Bobo, sono stato senza votare per molti anni, da cinque voto Lega, ma la prossima volta lo rifaccio solo se ci sei tu al comando». Gianluca: «Subito un congresso straordinario». Rino: «Manda Bossi a quel paese e salva il salvabile prima che la Lega muoia». E alle 10 di sera, sui profili di facebokk, è un diluvio di foto di Maroni, ritratto con Bossi. Ancora per poco.


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