Protesta nazionale e referendum

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Tempi difficili, sicuramente. In bilico tra la necessità  di rispondere in modo efficare a un attacco – da parte delle imprese e del governo, con qualche sostanziosa ruggine anche all’interno della Cgil – intenzionato a spazzar via oltre un secolo di movimento operaio. Nessuno più dei metalmeccanici può misurare sulla propria pelle questa condizione.
Ieri il Comitato centrale della Fiom si è parzialmente diviso, nell’incertezza su quale fosse la risposta giusta da dare a un doppio schiaffo: quello della Fiat (che ha siglato un «contratto per l’auto» insieme a Cisl, Uil e Fismic, fotocopia di quel «modello Pomigliano» che doveva essere un «caso unico e irripetibile», secondo diversi ingenui e non) e quello di Federmeccanica, l’associazione degli imprenditori metalmeccanici che dal 1 gennaio non considera più la Fiom «firmataria di contratto nazionale». In entrambi i casi per la Fiom vuol dire esser «legalmente» fuori dalle fabbriche, muoversi quasi «in incognito» dentro i reparti. Come sotto il fascismo o negli anni ’50.
La relazione di Maurizio Landini ha avuto il voro di 91 delegati, l’emendamento di Fausto Durante (capofila dei fedeli alla segretaia generale della Cgil Susanna Camusso) 34. La sinistra interna di Sergio Bellavita e Giorgio Cremaschi solo 18. Qui si è verificata la rottura simbolica della maggioranza che era rimasta unita fin dal congresso di Rimini, nel 2010.
Ma andiamo con ordine. Landini aveva chiesto una presa di posizione unitaria su un programma di mobilitazione e una piattaforma rivendicativa: una manifestazione nazionale l’11 febbraio a Roma, «aperta alle forze sociali», per riconquistare il diritto di manifestare a Roma e, soprattutto, a piazza S. Giovanni «violata» dagli scontri del 15 ottobre; il sostegno al referendum chiesto dai lavoratori Fiat per abrogare il «contratto auto» – non validato dai diretti interessati, i dipendenti – per cui si stanno raccogliendo le firme necessarie (il 20% del totale, secondo la legge); la riconquista di un contratto nazionale di tutti i metalmeccanici, per cui è scattata dal 1 gennaio l’«ultrattività », con una piattaforma già  approvata dalla categoria con un voto di massa.
La «destra» – diciamo così – si è distinta con un solo emendamento: per obbligare la Fiom ad «accettare qualsiasi risultato darà  il referendum». Non è stato approvato e Landini, nelle conclusioni, ha spiegato che «naturalmente, se fossimo sconfitti nel referendum, il gruppo dirigente ed io per primo ce ne dovremmo asumere la responabilità ». Non senza però ricordare che «bisogna riuscire a farlo», perché la Fiat, già  altre volte nel passato, ha impedito fisicamente le consultazioni negli stabilimenti. In quel caso, bisognerebbe valutare un quadro differente…
Ma ha anche spiegato di aver ricevuto dai «vertici della confederazione» – e proprio alla vigilia di un Direttivo nazionale che dovrà  prendere in esame anche questo dossier – una richiesta per trovare una «posizione comune» sulla valutazione della vicenda Fiat, tale da evitare un pericoloso strappo tra la categoria e la Cgil nazionale. Senza risultati pratici.
Da «sinistra» invece, Bellavita (ex Rete28Aprile e membro della segreteria Fiom) ha visto «una pesante sottovalutazione delle politiche del governo, dell’attacco di Federmeccanica e del disegno Fiat». Ha giudicato perciò «inadeguata la risposta con la sola manifestazione nazionale», proponendo invece uno «sciopero generale dei metalmeccanici come spinta generale per tutto il movimento dei lavoratori contro il governo». Una risposta, a suo giudizio, «non politica, ma assolutamente sindacale». Tempi difficili, si diceva.


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