S&P, vertice di emergenza Monti-Visco-Passera si chiede aiuto alla Bce

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ROMA – È stato un vero consiglio di guerra. O meglio di guerra preventiva: il nemico sono gli speculatori che si scateneranno domani alla riapertura dei mercati contro l’Italia. Mario Monti, il ministro Corrado Passera, il viceministro Vittorio Grilli, il governatore Ignazio Visco: chiusi nell’ufficio del premier per due ore ieri pomeriggio a valutare le contromosse dopo la mattanza di S&P, nove downgrading in un colpo solo e la mortificante retrocessione dell’Italia. La parola d’ordine è: sangue freddo. E non drammatizzare una misura che in fondo i mercati potrebbero aver già  scontato. In ogni caso si è deciso di procedere senza esitazioni su più fronti per dar vita a una rete di protezione intorno al nostro Paese e quindi allo stesso euro. Intanto coinvolgendo il più possibile la Bce perché allarghi sia il finanziamento alle banche sia gli acquisti di Btp sul secondario. Poi accelerando ulteriormente la nascita dell’Esm, il fondo monetario europeo, in modo che gli speculatori sappiano che per quanto possano picchiare contro un Paese troveranno un baluardo di difesa inespugnabile, non come il fragile e inefficace Efsf attuale. Ma soprattutto – e l’occasione perfetta è il vertice in programma mercoledì con Sarkozy e Merkel – scuotendo il partner tedesco perché ridimensioni la sua ossessione sul debito.
Qui un imprevisto assist l’ha offerto a Monti, paradossalmente, proprio S&P: nel comunicato dell’altra notte, neanche tanto fra le righe, si faceva riferimento alle manovre draconiane e foriere di recessione che Berlino sta imponendo all’Europa pur di ridurre il debito. Allentare la morsa potrebbe creare insperati spazi per crescita. Proprio la mancanza di essa è alla base delle decisioni dell’agenzia, il cui direttore generale Moritz Kraemer ieri in teleconferenza ha confermato: «C’è il 40% di probabilità  che l’area euro finisca in recessione con una perdita media di Pil dell’1,5% quest’anno. La risposta politica per ora, a partire dal deludente vertice dell’8 dicembre in cui ci si è limitati a delle raccomandazioni senza forza, è insufficiente. È mancata una svolta nella gestione della crisi, e ci sono esitazioni perfino nel riconoscerne le origini. Perciò le vulnerabilità  a stress sistemici restano alte specie in Paesi quali Italia e Spagna». Insomma, persino S&P insiste sulla necessità  di azioni forti e soprattutto comuni, echeggiando quanto ha dichiarato sempre ieri il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: «E’ urgente che l’Europa metta in campo la più forte volontà  comune nel procedere sulla via dell’unità  politica e dell’effettiva unione economica».
Anche per S&P il tempo stringe. «Con il governo Monti la situazione in Italia è profondamente cambiata», ammette l’agenzia. «I venti contrari però sono forti. Basta un inciampo parlamentare con l’incrinarsi della fiducia dei partiti, la fine prematura dell’esecutivo, una resistenza strenua alle riforme da parte di interessi particolari o monopolisti tenaci, oppure infine una recessione più dura del previsto con una marcata riduzione del Pil pro capite, perché la situazione torni a precipitare». E a conferma che c’è poco da star tranquilli arriva la stoccata: «L’outlook sul lungo termine resta negativo e c’è almeno il 30% di possibilità  che l’Italia subisca un nuovo downgrading quest’anno o il prossimo». A preoccupare S&P sono le prossime scadenze: «Solo fra febbraio e aprile l’Italia dovrà  rifinanziare 130 miliardi, e può incontrare serie difficoltà , che quantomeno porterebbero ad un accorciamento delle scadenze del debito altrettanto dannoso».


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