Strage di Haditha, nessun castigo

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Questa è la raccomandazione del giudice militare di Camp Pendleton, California, David Jones, che dovrà  essere ratificata dal capo del comando centrale della marina. Si conclude così una delle pagine più nere dell’occupazione americana in Iraq, con l’assoluzione dei responsabili. Wuterich era l’ultimo degli otto marine responsabili dell’attacco ad Haditha, per sei le accuse erano già  cadute, un altro marine è stato assolto e il sergente, il più alto in grado sul campo, che si era assunto al responsabilità  di «Prima sparare poi fare domande», si vedrà  condonata la pena irrisoria (tre mesi di carcere, degradato e riduzione dello stipendio) perché è un padre che ha in custodia tre figli. 
Quel 19 novembre del 2005 nella provincia di Anbar i marine erano stati colpiti da un ordigno che aveva provocato delle vittime tra gli americani. Immediatamente era scattata la rappresaglia nel villaggio più vicino, Haditha per l’appunto, senza che nessuna delle persone massacrate fosse armata o avesse intenzioni bellicose nei confronti degli americani. 
Ma l’ossessione degli americani che vedevano nemici in tutti gli iracheni non permetteva di valutare la situazione: «Prima spara e poi fai domande». Ma spesso quando arrivano le domande non c’è più nessuno che possa rispondere. 
La strage di Haditha era risultata così assurda che persino Glazier, il comandante responsabile dell’unità  guidata da Wuterich, quando ha saputo quello che era successo, aveva rifiutato di crederci. E poi aveva detto: «Non i miei marine». E invece erano proprio i suoi e allora si era arrivati ad avanzare l’ipotesi di «un problema nella catena di comando per ammettere il crimine». Ma anche questo è un problema spesso accampato dagli americani quando non si sa come giustificare una strage, un crimine: «Problemi di comunicazione». Basterebbe controllare le comunicazioni per verificare dove c’è stato l’errore, ma spesso le registrazioni vengono distrutte, soprattutto quando ci sono crimini di mezzo.
Ci sono voluti ben sei anni per arrivare a questa ridicola conclusione che naturalmente ha lasciato allibiti gli iracheni. Awis Fahmi Hussein, uno dei sopravvissuti alla strage, colpito alla schiena, ha detto: «Mi aspettavo che il sistema giudiziario americano avrebbe condannato all’ergastolo questa persona e che sarebbe apparsa davanti al mondo intero per confessare il crimine commesso, in modo da permettere all’America di dimostrarsi democratica ed equa». Ma questa era pura illusione.
Gli Stati uniti, dopo il ritiro di dicembre, hanno un’unica preoccupazione, quella di cancellare la memoria di quanto successo in Iraq, anche assolvendo i responsabili di crimini e stragi. In parte ci sono giù riusciti: chi si ricorda ancora più di Abu Ghraib? Un po’ di giorni fa, sono state messe a tacere anche le famiglie dei contractor della Blackwater uccisi e martoriati a Falluja. E poi chi ha commesso i peggiori massacri può anche permettersi di vantarsene. E gli orrori commessi in Iraq vengono coperti dai nuovi orrori commessi in Afghanistan. Orrori su orrori e la guerra continua.


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