Una libertà  sotto tiro

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Indicata come il simbolo delle «primavere arabe», la società  dei brevi messaggi ha infatti voltato le spalle alla libertà  di espressione. Se in un prossimo futuro un governo la inviterà  a bloccare messaggi che stridono con le leggi nazionali, Twitter farà  suo quell’invito e censurerà  chi non è gradito dal potere politico. Pochi giorni prima, l’Fbi aveva chiesto ai colleghi della Nuova Zelanda di chiudere il sito di Megaupload perché violava le leggi sul copyright. E di pochi giorni fa è la notizia della firma dell’Unione europea sull’accordo sulla contraffazione, considerato una release più restrittiva dei già  restrittivi accordi sulla proprietà  intellettuale del Wto. 
I motivi di queste azioni, ovviamente non espressione di chissà  quale grande complotto, sono da ricercare nell’algido mondo dell’economia. In ordine: Twitter vuole entrare in Cina, dove finora non era niente affatto gradita. E quel mercato vale miliardi di dollari. Allo stesso tempo vuol far cessare le pressioni del governo Usa perché smetta di essere il mezzo preferito da hacker e da Wikileaks per diffondere i loro messaggi. Le stesse pressioni esercitate da Scotland Yard per avere informazioni dal servizio di microblogging su chi aveva usato i tweet per informare sulle rivolte dell’estate scorsa. E visto che la crisi morde il freno è meglio avere le mani libere e sacrificare la libertà  di espressione per qualche inserzione di pubblicità  in più. E per non rimanere al palo se la ripresa economica passerà  proprio per la Rete, come sostengono molti analisti Usa. 
L’affaire Megaupload è invece un regalo alle imprese discografiche e cinematografiche. I siti in streaming chiusi la scorsa settimana erano tuttavia agli antipodi di quanto stabilisce l’attitudine hacker sulla condivisione della conoscenza. I boss di Megaupload sono diventati miliardari attraverso inserzioni pubblicitarie e i canoni riscossi per far accedere ai contenuti. Tuttavia gli utenti si potevano collegare e vedere film o ascoltare brani musicali senza sborsare un penny, attraverso vari accorgimenti che anche un ragazzo o una ragazza di dieci anni apprendono in pochi secondi. La chiusura è stato un regalo all’industria discografica e cinematografica che da anni vedono in caduta libera i loro profitti perché in Rete si trova di tutto. L’accordo sulla contraffazione serve invece a far diventare la proprietà  intellettuale un dogma che non può essere messo in discussione. 
Ma questo giro di vite avrà  successo? C’è da dubitare. La Rete è sinonimo di condivisione, di libero accesso, di gratuità . E la storia testimonia che i mezzi per aggirare la legge delle imprese sono più facili di quanto si pensi. Non a caso alcune imprese stanno pensando a modelli di business adeguati a questa realtà . Magari differenziando l’offerta in termini di velocità  di accesso ai contenuti, oppure facendo profitti attraverso la rivendita dei megadati, cioè dalla elaborazione dei profili individuali in termini di gusti, preferenze per far attivare strategie personalizzate di marketing. C’è sempre un ospite inatteso che può irrompere nella scena. Finora si autodefinisce «Anonymous», ma potrebbe diventare una moltitudine che manda tutto all’aria.


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