ANNE HOLT: “COSàŒ IL MIO NOIR HA PREVISTO LA STRAGE DI OSLO”

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La coincidenza, a prima vista, è impressionante: una premier norvegese trovata con un colpo di pistola in testa nel suo ufficio; primi sospetti o quasi gli appartenenti a un movimento neonazista che propaganda l’odio contro gli islamici, traffica con armi da guerra, prepara attentati. A poco più di sei mesi dal giorno tragico della strage di Oslo, è una tentazione forte leggere nel giallo di Anne Holt Nella tana dei lupi, scritto nel 1997, solo adesso tradotto in italiano (Einaudi Stile libero), quasi una profezia: era proprio il capo del governo norvegese l’obiettivo della bomba fatta esplodere dal neonazista Anders Breivik il 22 luglio scorso, poche ore prima di spostarsi travestito da poliziotto e mitragliatore in mano sull’isolotto nel porto e uccidere 69 giovani. Breivik e il neonazista inventato del libro, Brage Hakonsen, condividono fanatismo razzista, amore per le armi e per i covi segreti, passione per le divise e delirante assenza di empatia. E però è una tentazione a cui è opportuno resistere: «Chi scrive, o almeno questo vale per me, – sostiene la Holt –, inventa prima di tutto una trama e dei personaggi per portarla avanti. Inevitabilmente si serve di elementi che rispecchiano la società  in cui vive, e in questo modo capita al genere di descrivere la realtà . Ma questo è tutto, proseguire oltre è sbagliato. Se vuole parliamo di romanzi. Oppure di tragedie». Insieme, no. Bestseller in due continenti, avvocato, ex funzionario di polizia, ex ministro di Giustizia e Polizia proprio negli anni in cui scrisse Nella tana dei lupi (per quel titolo si scelse una coautrice non qualsiasi, l’allora sua sottosegretaria al Ministero e oggi membro della commissione che assegna i Nobel per la Pace, Berit Reiss-Andersen), Anne Holt è speciale anche per questo. Da commentatrice politica molto in vista in patria, sulla strage di Utoya ha scritto a caldo parole dure e vibranti, di richiamo alla coscienza collettiva: «Non dobbiamo mai dimenticare che Anders Breivik è stato uno di noi, è nella nostra società  e cultura che si è trasformato in un gelido mostro che ha passato nove anni di vita a preparare e perfezionare una strage di civili. E non smettere di chiederci: cosa avremmo potuto fare diversamente? Cosa faremo ora?». 
Oggi, a tre mesi dal processo annunciato per aprile, quelle domande restano più aperte che mai. 
«Se mi chiede che cos’è cambiato, devo rispondere: poco. Non c’è dubbio che lo sfondo scatenante dell’attentato sia il delicato e irrisolto tema della convivenza tra culture diverse e del razzismo contro gli immigrati. Quando scrissi quelle parole speravo che le cose potessero rapidamente cambiare di più».
Nel frattempo si discute sulla dichiarata infermità  mentale di Breivik. Lei cosa ne pensa? 
«Ho fiducia che al processo sapremo tutto quello che c’è da sapere, la giustizia ha il compito di fare luce su ogni possibile dubbio, e lo farà ». 
Nel frattempo sono emerse tracce sul web di contatti di Breivik con formazioni estremiste di destra inglesi… 
«Lo sapremo al processo. È l’unico e il miglior modo di procedere».
Se fosse un giallo? 
«Allora parliamo di gialli: nel mio ultimo, 1222, ho scelto una ambientazione in mezzo alle montagne, in una località  isolata da una nevicata, proprio per evitare che le tecnologie dell’informazione influissero troppo sulle indagini. Mi interessava mettere la mia detective Hanne Wilhelmsen al lavoro sugli indizi nel modo tradizionale della detection classica. Perché resto convinta che il mestiere di chi scrive crime story sia indagare sulle origini del male e della colpa nel cuore degli uomini. E ne ero già  convinta anche in Nella tana dei lupi, come sa se ha letto il finale».
Senza svelarlo, diciamo che nel libro ci sono più piste, una delle quali si intreccia con uno scandalo ai danni della salute pubblica, e un mistero “della stanza chiusa”… 
«Attraverso il profilo e le vicende dei personaggi emergono storie che portano a scavare nell’esistenza di vittime colpevoli. Anche in questo caso si tratta di vicende pubbliche e private, a cavallo tra la realtà  sociale del Paese e le scelte etiche di ciascuno». 
Il titolo originale di Nella tana dei lupi è “Nella bocca del leone”, allusione all’animale araldico del Regno di Norvegia. E nelle stanze del potere, a partire dallo studio nel palazzo del governo dove il corpo della premier Birgitte Volter viene trovato dalla segretaria, si svolge buona parte dell’azione. Non sarà  un caso che, nei mesi in cui ha scritto il libro, lei stessa era ministro… 
«Naturalmente no. Lo scrittore ha il privilegio di adoperare la propria esperienza. E la libertà  di farlo attraverso i protagonisti che di volta in volta gli appaiono più adatti».
A proposito di protagonisti, la sua detective Hanne Wilhelmsen nel libro del 1997 faceva ancora la poliziotta a tempo pieno. In altri dei suoi libri, come La porta chiusa, Hanne aveva cambiato ruolo, si era appena salvata da un attentato. In 1222, due anni dopo, la ritroveremo ancora diversa? 
«È la regola delle detective story moderne. Agatha Christie è stata l’ultima che ha potuto permettersi di non far invecchiare nessuno».


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