Fiat Melfi, reintegrati i tre operai accolto il ricorso della Fiom

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TORINO – I tre operai di Melfi licenziati dalla Fiat nell’estate del 2010 non sono sabotatori, come aveva sostenuto l’azienda, e vanno dunque reintegrati sul posto di lavoro con effetto immediato. In base all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Il destino di Giovanni Barrozino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli è quello di essere, loro malgrado, dei simboli. Della battaglia della Fiom contro il modello Marchionne, due anni fa, e oggi di chi sostiene che l’articolo 18 non va toccato. Per questo dichiarano subito: «Noi vogliamo solo poter tornare a lavorare». 
Difficilmente la Fiat li farà  tornare al lavoro. Come già  in occasione della prima sentenza vinta dalla Fiom contro il Lingotto, l’azienda potrebbe semplicemente reintegrare i tre nell’organico, pagare gli arretrati, come stabilisce la sentenza di Potenza, ma lasciarli a casa stipendiati. E questo anche se la Cassazione, alla quale la Fiat ha già  annunciato ieri che farà  appello, dovesse confermare la sentenza contraria alle tesi del Lingotto. Pur non volendo commentare la sentenza, l’azienda ha scritto in una breve nota che ricorrerà  in Cassazione e che, nonostante la sconfitta in tribunale, «considera inaccettabili comportamenti come quelli dei tre lavoratori». Naturalmente l’ipotesi che nelle prossime settimane la Fiat paghi i tre per rimanere a casa aprirebbe inevitabilmente un nuovo fronte giudiziario e l’azienda verrebbe probabilmente trascinata un’altra volta in tribunale per comportamento antisindacale.
La vicenda risale al luglio del 2010 quando i tre operai (due sono delegati della Fiom) vengono licenziati perché, secondo l’azienda, avrebbero bloccato un carrello automatico per fermare la produzione durante uno sciopero. La tesi del sabotaggio viene giudicata infondata dal giudice del lavoro di Melfi che ordina l’immediato reintegro. In fabbrica però i tre operai non vengono fatti entrare. I due delegati vengono inviati nella saletta sindacale per svolgere, se vogliono, il loro ruolo di sindacalisti. Nei mesi successivi una nuova sentenza del tribunale di Melfi dà  ragione alla Fiat e i tre vengono radiati dall’organico. In quei mesi contro i tre licenziati vanno a testimoniare anche sindacalisti dei sindacati del «sì» come il leader del Fismic, Roberto Di Maulo. Ieri però la Corte d’appello di Potenza ha dato ragione alla Fiom. «La sentenza dimostra che la tesi di Marchionne sulle fabbriche ingovernabili in mano ai sabotatori è frutto di pura fantasia», commenta per la Fiom Giorgio Airaudo. Maurizio Landini ricorda che «i tre operai sono stati oggetto di una campagna denigratoria e ora valuteremo se chiedere i danni morali». In occasione delle polemiche sul licenziamento, ricordano i sindacalisti della Fiom, «ci fu chi confezionò delle prime pagine con il titolo “Sabotatori”». 
Ora la battaglia si sposta sull’articolo 18. Getta benzina sul fuoco l’ex ministro Maurizio Sacconi: «E’ chiaro che manca il rapporto di fiducia tra l’azienda e i tre lavoratori. La norma va cambiata in modo che con proporzionati indennizzi sia possibile risolvere la questione». Un principio che renderebbe di fatto licenziabili tutti. Contro questa logica la Fiom ha organizzato una manifestazione nazionale il 9 marzo a Roma. Ieri ha annunciato l’adesione, tra gli altri, il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro.


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