Perché Quelle “anime nere” non ci soppianteranno mai

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La capacità  di fabbricare delle protesi che ne potenziano le risorse naturali è la caratteristica fondamentale dell’essere umano, e ne ha decretato – con tecniche molto antiche, come la clava o la ruota – il successo evolutivo rispetto ad altre specie animali.
Da questo punto di vista poco è cambiato dal paleolitico. Semplicemente, nuove tecniche hanno rimpiazzato altre tecniche, che appaiono a torto come “più naturali”. I computer sono venuti dopo le macchine per scrivere, e le macchine per scrivere dopo la carta e la penna, la pergamena, il papiro, che erano a loro volta tecnologia, ed estremamente evoluta, qualcosa di tutt’altro che naturale. Chiunque consideri gli sforzi che i bambini devono fare a scuola per imparare a leggere e scrivere si renderà  facilmente conto di non avere a che fare con la natura, ma con una tecnica complessa (che, sia detto di passaggio, si sta parzialmente perdendo, insieme alla capacità  di calcolo, per via dei computer). Così, nel momento in cui gli impiegati della borsa di New York si sono messi a lavorare senza computer non sono regrediti allo stato di natura, hanno semplicemente adottato una tecnologia precedente. Un po’ come quando si usano i fiammiferi per accendere il gas, se si è rotto il sistema automatico di accensione, il tutto per beneficiare di una tecnologia che ci riporta alle caverne, e cioè il fuoco.
L’idea che siamo sempre più dipendenti dalla tecnica va dunque precisata. In un senso, è semplicemente falso, visto che le tecniche davvero fondamentali, dal fuoco alla ruota alla scrittura, sono in campo da migliaia di anni. Vero è piuttosto (ma si tratta di un altro paio di maniche) che siamo sempre meno capaci di gestire autonomamente la tecnica: di certo, un’automobile piena di dispositivi elettronici è un arcano per un utente normale, e riparare un computer non è precisamente come rimettere in sesto la catena della bicicletta. 
Quello che però a mio avviso è, di nuovo, semplicemente falso, è che la tecnica possa prendere il posto della responsabilità  umana. Era un argomento ricorrente nel secolo scorso, quando si parlava delle “imposizioni” della tecnica, ossia del fatto che l’uomo non è più in grado di decidere ed è totalmente condizionato dalla tecnologia che lo circonda. Io non credo affatto che sia così, e ho l’impressione che si trattasse di una forma di deresponsabilizzazione, che metteva in capo alla tecnica le colpe delle guerre tecnologiche o, peggio ancora, degli stermini tecnologici. Era una specie di “eseguivo gli ordini”, dove l’anima nera era la macchina. Ma in effetti accade piuttosto il contrario, e cioè che le macchine tendono a responsabilizzarci sempre di più: non è più possibile, come ai bei tempi della posta cartacea, dire che la lettera è andata persa, non è più possibile non rispondere alle chiamate di cui rimane comunque traccia, e questo non manca di accrescere la nostra ansia, il nostro essere febbrili.
Quest’ultimo punto suggerisce il secondo e più fondamentale motivo per cui dubito che le macchine potranno mai soppiantarci. Non ne hanno ragione: non hanno ansia, né responsabilità , non hanno fretta e non si annoiano, non hanno un corpo e non muoiono, ossia non hanno tutto il sistema di bisogni e di dipendenze che caratterizzano l’essere umano. E che lo rendono attivo, irrazionale, e anche bisognoso di controllo, assillato dalla necessità  di darsi dei fini in un tempo limitato, pieno di illusioni, di desideri e di paure. Ecco perché mi pare altamente improbabile che venga il giorno in cui i computer, dialogando tra loro, decidano di farci fuori. Chi glielo farebbe fare? Sono più saggi, tranquilli, indifferenti, immuni da quella aspirazione al dominio (che è ovviamente anche bisogno di sicurezza) che è piuttosto la prerogativa di paranoici con corpi umanissimi e tempi contingentati.


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