Più di 150 donne uccise dalle mafie

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Roma – Sono più di 150 le donne uccise dalle mafie in Italia, secondo un dossier dell’Associazione daSud. La ricerca si intitola: “Sdisonorate. Le mafie uccidono le donne” e sfata il mito secondo cui i mafiosi avrebbero un codice d’onore che proibisce di ammazzare le donne. Il dossier curato da Irene Cortese, Sara Di Bella e Cinzia Paolillo testimonia una lunga scia di sangue iniziata nel 1896 con Emanuela Sansone, uccisa a soli diciassette anni a Palermo per ritorsione nei confronti della madre. L’ultima tomba in ordine di tempo è quella rosarnese di Maria Concetta Cacciola, morta suicida ingerendo acido muriatico il 22 agosto del 2011, a soli 31 anni e con tre figli di sette, dodici e sedici anni. I magistrati di Palmi hanno arrestato la madre, il padre e il fratello, appartenenti al clan dei Bellocco, con l’accusa di averla indotta  al suicidio con continui atti di violenza fisica e psicologica. I tre figli affidati ai nonni materni erano l’arma del ricatto. La colpa di Maria Concetta è stata decidere di collaborare con i magistrati  tre mesi prima della morte, probabilmente seguendo l’esempio di sua cugina Giuseppina Pesce. Bere acido è una modalità  per togliersi la vita che continua a ripetersi in Calabria negli ultimi mesi. Donne che non riuscite a uscire dal giogo mafioso e  sembra vogliano lavare con l’acido il disonore di avere fatto rivelazioni sulle ‘ndrine e rotto l’omertà .  

Le 150 donne vittime delle mafie sono morte innocenti o dissidenti, per l’impegno politico, per delitti d’onore, per vendette trasversali. La ricerca delle storie, condensate ognuna in poche righe, si è basata sull’elenco di Libera, sul libro premio Montanelli “Dimenticati” dei giornalisti Danilo Chirico e Alessio Magro e sugli archivi dei giornali. “Se alcune vittime avessero potuto parlare con un centro, forse si sarebbero potute salvare” si legge nella prefazione. Il dato che la maggioranza sono morte a causa di vendette trasversali, colpite per punire padri, fratelli e mariti, dimostra che la donna nella cultura mafiosa è intesa come oggetto di possesso. “Colpisco la ‘cosa’ che ti è più cara e simbolicamente, per questo motivo, quella che non andrebbe mai colpita” scrive Celeste Costantino nel dossier, sottolineando come la ricerca non intenda fare l’apologia femminile nelle terre di mafia, visto che alcune vittime sono state uccise da altre donne.

Nel lungo elenco ci sono nomi noti alla memoria collettiva, come le vittime delle stragi di mafia a Palermo (Emanuela Loi, Emanuela Setti Carraro, Francesca Morvillo), o la giornalista Ilaria Alpi, sul cui omicidio in Somalia non è stata fatta giustizia mentre molte tracce parlano ormai della ‘ndrangheta coinvolta in un traffico di armi e rifiuti pericolosi con l’Africa. Ma anche tante vicende quasi sconosciute che meritano di essere ricordate. Restando a Rosarno, Maria Rosa Bellocco è stata uccisa dai familiari insieme al marito Mario Alessio Conte e al loro bimbo di nove anni Francesco. Una famiglia sterminata il primo settembre del 1977 perché Maria Rosa era stata infedele e il marito si era rifiutato di ucciderla. Annunziata Pesce, 30 anni, aveva tradito il marito con un carabiniere. Ma era la nipote del boss Giuseppe Pesce. Il marito ne denunciò la scomparsa il 20 marzo del 1981 e il suo ricordo fu “cancellato con il terrore, vietato anche pronunciarne il nome”. Nel 2010 la collaboratrice Giuseppina Pesce racconta che Annunziata fu uccisa dal cugino alla presenza del fratello maggiore.

A Nardò, la bellissima riserva di Portoselvaggio, nel salento, deve al sacrificio di Renata Fonte il suo essere incontaminata. Renata Fonte fu uccisa a Nardò nel Salento il 31 marzo del 1984 perché da assessore si batteva contro la speculazione edilizia e la costruzione  di un villaggio turistico. Nunziata Spina venne uccisa nel 1986 a Messina solo perché si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Era nella sala d’attesa di un ospedale a Ganzirri, seduta accanto a uno sconosciuto, che però era un pregiudicato, nel momento in cui due uomini fecero irruzione e spararono nel mucchio per colpire l’uomo. Ci sono le vittime dei sequestri come Mirella Silocchi. O la moglie di un poliziotto temuto dalle ‘ndrine come Salvatore Aversa, ucciso con la sua Lucia Precenzano a Lamezia Terme in un agguato nel 1992. Non hanno avuto pace neanche da morti, la loro tomba è stata profanata più volte. Angela Costantino aveva 25 anni nel 1994 e 4 figli, da adolescente aveva sposato un uomo del clan Lo Giudice. Rimasta incinta di un altro uomo, aveva abortito ma la ‘ndrina non l’ha perdonata: un cognato l’ha strangolata e sepolta sotto terra. L’automobile di Angela fu abbandonata in un viadotto per inscenare un suicidio. Molti ricordano altre giovani vittime della violenza cammorrista. Annalisa Durante, 14 anni, è stata uccisa da una pallottola vagante a Napoli nel 2004. Mina Verde, citata in Gomorra, è stata torturata, stuprata, finita con sei colpi di pistola e i suoi resti fatti ritrovare carbonizzati nella sua auto. Aveva solo 22 anni e nessuna colpa. (raffaella cosentino)

 

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