Cina, Le mani su 75 società  e 4% dei titoli di Stato l’avanzata del Dragone nel nostro Paese

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ROMA – «Dirò di investire in Italia», promette il presidente cinese Hu Jintao incontrando Mario Monti a Seul. In realtà  l’avanzata del Dragone nella Penisola è già  in corso. Sono 75 le imprese italiane controllate o partecipate dai capitali cinesi. Hanno un fatturato di 1,65 miliardi di euro e occupano 3 mila dipendenti. Sono concentrate per il 49% in Lombardia, il resto in Veneto, Piemonte, Liguria e Emilia Romagna. Poco si sa invece degli investimenti cinesi in titoli pubblici italiani se non che da sempre, e ancor più durante l’era Berlusconi, ci sono stati contatti diretti del Tesoro con le autorità  di Pechino per convincerle a comprare Bot, Cct, Ctz e tutto l’armamentario tecnico del nostro debito pubblico. Ancora nell’agosto scorso, nel pieno della crisi dei Paesi deboli di Eurolandia, l’allora ministro Giulio Tremonti, che pure in passato aveva criticato l’aggressività  commerciale di Pechino, inviò in Cina l’ex direttore del Tesoro Vittorio Grilli, oggi viceministro dell’economia, proprio con questa mission. Un anno prima, nell’ottobre del 2010, per accogliere al meglio il premier Wen Jiabao, invitato in Italia per celebrare i 40 anni di rapporti diplomatici tra i due Paesi, Berlusconi fece perfino vestire d’oriente la via romana dei Forti Imperiali illuminandola con le tipiche lanterne rosse, simboli per i cinesi di buon augurio per il futuro. Al momento la Cina ha in portafoglio il 4% dei titoli italiani pari a poco più di 64,6 miliardi di euro, cioè una quota del 17% del complesso dei titoli dell’eurozona in mano a Pechino. Che, nei mesi di maggior tensione del debito sovrano, ha scelto di stare alla finestra. 
Al contrario, si intensificano le relazioni industriali. L’ultimo incontro tra 18 grandi gruppi cinesi e 60 aziende italiane risale ad appena una settimana fa, presente il viceministro del commercio, Jiang Yaoping. Dalle sue dichiarazioni emergono anche le linee strategiche lungo le quali il Paese intende muoversi: più interscambio e più collaborazione nei settori dell’alta tecnologia. Secondo Yaoping, l’Italia è oggi il quinto partner commerciale della Cina. 
Invitalia, l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti che dipende dal ministero per lo Sviluppo, dispone di una mappa aggiornata dello shopping cinese nel Belpaese. E dunque: sono freschissime (gennaio) le intese per acquisire il 75% del gruppo Ferretti, famoso per i suoi yacht da parte della Shandon Heavy Industry Group-Weichai. Da tempo è stata acquisita la Benelli di Pesaro (motociclette). Nel settore dell’abbigliamento, la Sergio Tacchini parla cinese ormai dal 2007; nel mondo delle energie alternative, la Italsolar e Kerself. Il business più grosso riguarda la Cifa, colosso dei macchinari per il calcestruzzo e l’edilizia. 
Nella storia industriale recente spesso si è parlato della Cina anche come “cavaliere bianco”, cioè come salvatore di aziende italiane in difficoltà . E’ anche capitato però che il cavaliere svanisse. Nel caso della Antonio Merloni, per esempio, sulla cordata cinese Nanchang Zerowatt Electronic Group alla fine l’ha spuntata la J&P. Per la De Tomaso (auto) la salvezza sembrava arrivare dal gruppo Hatyork, ma all’incontro chiave con il ministero nessuno si è presentato. Di possibili capitali cinesi si era parlato anche per Termini Imerese (il fondo Hong Kong Tai), poi non se n’è fatto nulla. Ora ci sarebbe un interesse di Pechino per Irisbus. 
Dai dati elaborati dall’Ice (Istituto per il commercio estero) nel 2011 l’Italia ha esportato verso Pechino beni per oltre 10 miliardi di euro con un incremento del 16,2% sull’anno prima. Le importazioni sono aumentate dell’1,8% passando da 28,7 miliardi a 29,3 miliardi.


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