Così si licenzia ai tempi dell’art.18

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MILANO – «Non è vero che gli imprenditori vogliono soltanto licenziare». Lo assicura Vittorio Colao, amministratore delegato di Vodafone, mentre il 18 marzo rilascia l’ennesima dichiarazione al Corriere della Sera. Colao è stato direttore generale e amministratore delegato dell’allora Vodafone Omnitel alla fine degli anni ’90. È passato alla guida di Rcs dal 2004 al 2006 e ha lasciato la carica dopo solo due anni, con una buonuscita di 7,2 milioni di euro ma – come assicura una sua amica di infanzia, la scrittrice Camilla Baresani in un agiografico ritratto d’autore (parola sempre del Corriere della Sera, 28 maggio 2008) – Colao «ha dato un terzo della propria liquidazione in beneficenza». Il manager italiano è tornato in Vodafone nel 2006, dal 2008 è diventato amministratore delegato dell’intera multinazionale inglese. Tuttavia negli ultimi tempi la nostalgia della propria patria deve essere stata difficile da sostenere, tanto da indurlo a dichiararsi più volte in favore del governo Monti. Alla fine di gennaio Colao era insieme al ministro Passera e a Emma Marcegaglia a Davos, al forum di finanza internazionale intitolato Future of Italy, una di quelle tavole rotonde che tengono in ostaggio luoghi ormai destinati alla sola esibizione del potere: Davos, appunto, o Cernobbio. Vodafone Italia potrebbe spostare tutte le attività  di back office – le poche ancora presenti in Italia, o meglio, in Europa – in Egitto, ha detto Colao. La legge sulla privacy vieta la diffusione di dati sensibili – come i dati personali, bancari o le carte di credito dei clienti – al di fuori di nazioni dell’Unione Europea, ma questo impiccio legislativo sembra essere l’ultimo dei problemi, per l’amministratore delegato di Vodafone. In attesa dell’Egitto vero e proprio, Colao ha utilizzato il dumping sociale in Italia. 
Vodafone Italia ha ceduto – nel 2007 – quasi tutte le attività  di back office a una società  costituita per l’occasione, Comdata Care. Ma già  dopo tre anni, la maggior parte delle attività  esternalizzate sono finite a Galati, Romania, a pochi chilometri dal confine moldavo. In questo artificio finanziario Vodafone Italia ha ceduto i lavoratori e il lavoro a Comdata Care, Comdata Care ha subappaltato il lavoro alla casa madre Comdata, che lo ha trasferito alla sede rumena di Comdata, violando così un punto fondamentale dell’accordo siglato al Ministero dello Sviluppo Economico, nel 2007. Di questo caso si è già  scritto su questo quotidiano, il 17 dicembre 2011. 
Il 22 dicembre 2011 un giudice del tribunale del lavoro di Roma ha dichiarato inefficace la cessione effettuata da Vodafone Italia, nella causa intentata all’azienda da 33 lavoratori. Un tribunale della Repubblica Italiana ha quindi decretato una sentenza a favore di 33 lavoratori e cittadini italiani. Più di 100 persone sono in attesa di una sentenza simile, per ciò che riguarda il call center romano della multinazionale. Vodafone Italia avrebbe dovuto reintegrare i 33 lavoratori ceduti a Comdata Care, in realtà  i 33 lavoratori sono stipendiati, ma l’azienda non vuole che varchino il cancello degli uffici di via Boccabelli, zona Laurentina. Dopo la sentenza, il 20 febbraio 2012, Vodafone Italia ha annunciato «un licenziamento collettivo per riduzione di personale, con conseguente collocazione in mobilità  di n. 33 dipendenti, quali eccedenze strutturali…» L’azienda nel comunicato usa un linguaggio recriminatorio, si appella alla crisi, ma in seguito, non riuscendo a contenere la propria irritazione, attacca direttamente la sentenza. Vodafone Italia considera la sentenza del giudice «un fatto improvviso e grave», sentenza che «la Società  ritiene profondamente errata e che, una volta depositate le motivazioni, provvederà  a impugnare». Vodafone Italia afferma che le attività  non esistono più «nel contact center di Roma né presso altri contact center di Vodafone in Italia». Ora, poniamo che questo sia vero, che Vodafone Italia abbia ragione. Ma se ha ragione, è evidente che Vodafone Italia – o quanto meno l’azienda Comdata Care a cui ha ceduto le attività  e i lavoratori – ha infranto un accordo ministeriale, siglato al momento della cessione, nel 2007: accordo che vietava «il ricorso al subappalto per l’esecuzione delle attività  oggetto del trasferimento», ancora di più se all’estero. Rompere un accordo ministeriale è una violazione. Ecco un caso che rientra nei tanto citati abusi, quelli su cui vigileranno Monti e il suo governo.
In uno scenario di questo tipo pare perfino naturale il modo in cui l’azienda stia cercando di aggirare la sentenza di un tribunale della Repubblica Italiana. Vodafone Italia – il 31 marzo 2011 – aveva chiuso l’anno fiscale con ricavi totali pari a 8.758 milioni di euro, le carte sim attive erano 30.470.000 (+0,7%). Vodafone Italia aveva definito «intensa la crescita dei clienti privati e aziende (+12,5%)». I numeri non sono quelli di un’azienda in crisi che non può sostenere il reintegro di 33 lavoratori, un’azienda che tra l’altro fa parte di un gruppo con ricavi da 41 miliardi di sterline, ed è presente in 65 nazioni. Eppure Vodafone Italia ha deciso di scaricare sui contribuenti italiani i mesi di mobilità  richiesti per i 33 lavoratori.
Questa storia, che riguarda un’azienda italiana con manager italiani – ma con sede fiscale ad Amsterdam – mette in evidenza ancora una volta un fatto: in Italia si può licenziare, si licenzia, e molto, anche con l’articolo 18. Dovrebbe ricordarlo pure il Presidente della Repubblica Italiana, che nemmeno alle Fosse Ardeatine ha voluto interrompere, almeno per un istante, la sua campagna a favore dello smantellamento del vecchio articolo 18. 
Come ha scritto Camilla Baresani sul Corriere della Sera, Vittorio Colao è «convinto che non ci sia futuro senza che si diffondano benessere e istruzione». Forse di pomeriggio, in un momento di silenzio, mentre guarda le nuvole dall’aereo che lo riporta da una riunione all’altra, da Londra a Davos, da qualche pranzo nella finanza milanese all’amato call center d’Egitto, Vittorio Colao e i manager come lui – nuovi aristocratici – credono di attraversare in carrozza l’Ottocento di un romanzo come Il padrone delle ferriere, e sentono davvero il dovere morale di fare beneficenza, di diffondere benessere e istruzione con un bel gesto isolato e paternalistico, mentre le loro scelte economiche quotidiane avviliscono l’idea di diritto e giustizia sociale. E tutto questo impressiona ancora di più, se pensiamo che Vodafone Italia deriva da Omnitel, che a sua volta aveva come azionista Olivetti. Uno dei più bei romanzi italiani degli ultimi decenni, Le mosche del capitale, di Paolo Volponi, era proprio uno splendido affresco dell’industria, dei dirigenti, del potere. «Per Adriano Olivetti, maestro dell’industria mondiale», recitava la dedica del libro. Ma la generazione di imprenditori e manager dalla formazione umanistica è morta da tempo e resta solo nei romanzi di Volponi. Sembrano sparite anche le mosche nell’era in cui viviamo, questo misero Future of Italy. Sopravvive il capitale putrescente, la sua vanagloria gelida e mortuaria adorata da una piccola schiera e, naturalmente, quella sostanza organica su cui, in un’altra epoca, le vecchie mosche si posavano.


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