Formigoni è al capolinea Ora l’alternativa

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E questo vale a maggiore ragione per l’ultimo degli inquisiti in ordine di tempo, il consigliere regionale del Pdl, Angelo Giammario, ora indagato per corruzione, ma il cui nome si trovava già  nell’inchiesta «Infinito» contro la ‘ndrangheta in Lombardia. 
No, il punto è un altro, cioè il lungo ciclo formigoniano – che ha dominato in Lombardia per 17 anni consecutivi – è arrivato a capolinea. Il potente sistema di potere costruito attorno a Cl, il movimento politico-confessionale che in Lombardia agisce da partito-stato, e all’ultradecennale e organica alleanza con la Lega Nord, scricchiola come mai era accaduto prima d’ora.
Beninteso, l’esistenza di una questione morale al Pirellone non è certo una novità , anzi era palese già  nella scorsa legislatura. Vi ricordate, ad esempio, l’arresto in diretta tv dell’allora assessore regionale al turismo Gianni Prosperini oppure lo scandalo bonifiche, che aveva portato in carcere Rosanna Gariboldi, moglie di Giancarlo Abelli, assessore e il signore delle nomine nella sanità  lombarda?
Tutto quello che succede ora era ampiamente annunciato. E lo stesso Formigoni si è adoperato per ricollocare gli ex-assessori più a rischio in posti privilegiati in consiglio. Ci riferiamo ai due esponenti Pdl Franco Nicoli Cristiani e Massimo Ponzoni, finiti di recente in carcere. C’è poi il leghista Davide Boni, ex assessore e tuttora presidente del consiglio regionale, indagato pure lui per corruzione.
Potremmo andare avanti all’infinito, con il caso Minetti, le firme false per il listino o il crac del San Raffaele, ma lasciamo perdere. Qui si tratta di un sistema che è marcio. Il tanto acclamato modello Lombardia è anche questo e, forse, soprattutto questo. 
17 anni di governo ininterrotto sono decisamente troppi, portano a confondere la cosa pubblica con la cosa privata. Persino Putin aveva dovuto inventarsi un’interruzione prima del terzo mandato presidenziale. Roberto Formigoni invece no, lui è al quarto di fila, senza colpo ferire.
Ora però, finito il ventennio berlusconiano, sta per crollare anche quello formigoniano. Il problema, dunque, non è sapere se finisce, bensì come finisce. Già , perché non è la politica, l’opposizione o la mobilitazione dal basso a scuotere il palazzo, bensì la magistratura.
I magistrati, ovviamente, fanno il loro mestiere, così come lo fecero vent’anni fa, ma è la politica che finora non l’ha fatto. L’opposizione appare troppo debole e timida e nel passato recente c’è stato pure qualche inciucio di troppo. 
Occorre, quindi, avviare da subito un percorso unitario per un’alternativa, che parta dal coinvolgimento dei cittadini e preveda le primarie. Insomma, la Lombardia non sarà  come Milano, ma la primavera milanese ci offre un esempio concreto e vicino su come far rientrare in campo la partecipazione popolare e democratica e vincere. Altrimenti rischiamo di ripetere la via romana, dove siamo usciti dal berlusconismo non con un’alternativa politica, ma con una politica commissariata e delegittimata.


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