Garin, l’ultimo maestro tra Gramsci e Nietzsche

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E ugenio Garin, scomparso il 29 dicembre 2004 a 95 anni, è stato uno degli ultimi maestri. O forse un’anima rara che avrebbe preferito vivere al tempo di Lorenzo il Magnifico, quando si faceva politica dopo aver discusso sull’immortalità  dell’anima. Gli capitò il Novecento. Seppe farsi onore anche in quest’epoca, da uomo di sinistra che non accettò né il Sessantotto, né la cultura che si adeguava a quanto era politicamente corretto.
Garin torna in libreria grazie a una serie di riproposte delle Edizioni di Storia e Letteratura. In quest’uomo dal rigore morale assoluto, che parlava pacatamente e sapeva rendere indimenticabile una telefonata, che aveva confidenza con Giovanni Pico della Mirandola o Descartes («il nostro Cartesio», soleva intercalare), con i moralisti inglesi del Settecento o con il Rousseau politico, convivevano gli innamoramenti per i Quaderni del carcere di Gramsci e il rispetto per il pensiero di Giovanni Gentile. Forse fu la sua acutezza di storico delle idee a indurre Roderigo di Castiglia, ovvero Palmiro Togliatti, a recensire favorevolmente le Cronache di filosofia italiana da lui pubblicate presso Laterza nel 1955. Il Migliore — chiamiamo ancora così il più acuto e abile dei segretari politici del dopoguerra — lo portò verso il Pci. Vero è che nel gennaio 1958 fu lo stesso Garin ad aprire il convegno per i vent’anni della morte di Gramsci. Ovviamente con Togliatti presente.
Molto ha giovato in questi ultimi mesi il profilo che ha scritto il suo allievo Michele Ciliberto: Eugenio Garin. Un intellettuale del Novecento (Laterza pp. 176, 20). Sono pagine che offrono un profilo ricco e documentato, soprattutto non dimenticano le ricerche e gli innumerevoli carteggi. Ci restituiscono uno studioso che ha scritto pagine importanti sulla condizione umana lavorando nel laboratorio del «suo» Rinascimento. Lui che rifiutava la qualifica di filosofo, sapeva portare alla filosofia come nessun altro: e lì si congedava sempre dagli allievi con indicazioni per continuare il viaggio, per comprendere uomini e idee.
Il suo lavoro, soprattutto per le ricerche sull’età  della Rinascenza, ha un credito mondiale indiscutibile. Non a caso James Hankins, della Harvard University, ha partecipato al convegno fiorentino del marzo 2009 per ricordarne il centenario della nascita con una relazione dedicata ai rapporti tra lo studioso italiano e Paul Oskar Kristeller (il suo contributo si trova nel volume Eugenio Garin. Dal Rinascimento all’Illuminismo, uscito da Storia e Letteratura nel 2011). L’importanza dei suoi studi, agli antipodi di tanto dilettantismo dilagante nelle attuali università  italiane (dove ci si può laureare in filosofia medievale senza conoscere il latino), si coglie nei due tomi Interpretazioni del Rinascimento, entrambi pubblicati da Storia e Letteratura. Quasi 700 pagine, nelle quali si ritrovano dei saggi che restano un modello di ricerca, da tempo non reperibili. Ecco, per esempio, una recensione del 1943, apparsa negli «Annali della Scuola Normale Superiore» di Pisa, a un volume dedicato al processo di Giordano Bruno uscito in Vaticano: in essa, impeccabilmente, contestualizza avvenimenti e fonti e invita a riflettere anche sui casi di Campanella e dello Stigliola, il quale, tra l’altro, finì nei guai per la pretesa di spiegare scientificamente i miracoli. Oppure si ritrova un saggio del 1944 su I trattati morali di Coluccio Salutati. Garin entra in queste pagine «prive delle ricercate grazie umanistiche» per cogliere «la rivalutazione della sanità  della vita e del mondo». E poi altre ricerche, anche recenti — l’ultima è del 1993 — dedicate a magia, astrologia, aspetti ermetici, all’amato Leon Battista Alberti o a Galileo o al tumulto dei Ciompi. Viene ristampato da Storia e Letteratura anche l’importante saggio che Garin terminò all’inizio del 1934, ma che uscì soltanto nel 1937: Giovanni Pico della Mirandola. Vita e dottrina. Lo scrisse a Palermo dove, prima della guerra d’Etiopia, insegnò al liceo. Cesare Vasoli, che firma la prefazione, offre l’analisi degli studi da lui lasciati sul prodigioso pensatore.
Ogni volta che si riprendono in mano le opere di Garin si resta colpiti dalla straordinaria cultura e dall’accuratezza delle citazioni, dal fascino che conservano i suoi argomenti a distanza di decenni. Quel suo saper cogliere le idee essenziali, senza perdersi in minuzie, si constata aprendo la Storia della filosofia che gli venne chiesta da Enrico Vallecchi alla fine del 1943 (con lo stratosferico compenso di ottomila lire!) e che vide la luce nel 1945 (ora anch’essa è ristampata da Storia e Letteratura). Quest’opera — da non confondersi con la Storia della filosofia italiana, che vide la luce da Einaudi nel 1966 in tre volumi — stupisce per l’impostazione e la lungimiranza. Nel capitolo «pensatori d’oggi» già  analizza Heidegger e Jaspers, Husserl e Scheler; anzi, Garin segnala l’importanza di Dostoevskij e di Nietzsche (per quest’ultimo evidenzia il tema della «morte di Dio»). Tutto in un’epoca nella quale i manuali di storia del pensiero erano fermi all’Ottocento, intenti a far conoscere Rosmini e Gioberti e magari Ardigò, mentre Nietzsche era considerato, se ci si ricordava di citarlo, ispiratore di Mussolini o di d’Annunzio. O un seguace di Darwin.


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