I Pentiti di Wall Street

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WASHINGTON – «È come scoprire che ci sono le prostitute a Las Vegas», commenta spietato sul Washington Post Whitney Wilson, che amministra a Wall Street un fondo di due miliardi di dollari, leggendo la lettera-denuncia contro la Goldman Sachs di un vice presidente pentito. «Lo sanno tutti, lo fanno tutti. La Goldman lo ha fatto semplicemente meglio degli altri, più a lungo degli altri e magari più sfacciatamente degli altri. La sola legge che conta qui è fare soldi, sempre più soldi. Il resto è bullshit, sterco».
È un sudario di cinismo quello che da ieri ha avvolto l'”op-ed”, la lettera commento spedita al New York Times da un ex campione di tennis da tavolo, Greg Smith, laureato a Stanford, poi divenuto “direttore esecutivo” del settore derivati della Goldman Sachs a Londra, con il solenne titolo anche di “vice presidente”. Un’etichetta che suona più importante di quello che davvero è, visto che in quella banca ce ne sono ben 12 mila. Ma se i commenti, anche quelli dei concorrenti che pure detestano la Goldman più di ogni altra finanziaria essendo da decenni la più potente, sono spesso scrollate di spalle, l’accusa del giovane dirigente è insieme ovvia e terribile: non c’è più religione, in quella chiesa della speculazione finanziaria che ha travolto se stessa e con sè il mondo quattro anni or sono. Non c’è più rispetto per il fedele, per la santità  del cliente, che viene impietosamente tosato per aumentare i profitti dell’azienda. E pure sfottuto. “Muppets”, erano chiamati gli investitori nelle conversazioni private, pupazzi come Miss Piggy o Kermit la Rana, da manipolare e far ballare.
Il sospetto che in quella cattedrale non ci sia più neppure il Dio della correttezza professionale, è qualcosa che tanto i clienti, e non soltanto della Goldman Sachs, quanto i suoi cardinali e chierici avevano capito da tempo. Certamente lo avevano subodorato in quei giorni di fine estate 2008 quando vedemmo uscire i profughi del grande collasso dai templi di cristallo e cemento a Manhattan, portandosi la propria vita dentro le scatole di cartone. Lo sapevano i funzionari della Sec, la sentinella (spesso appisolata) della Borsa e della finanza quando appioppò 550 milioni di dollari di multa alla GS per avere deliberatamente ingannato i propri clienti.
Lo aveva deciso il tribunale del Delaware quando ha sentenziato che la società  era spesso in conflitto di interessi, nel senso che curava i propri, più che quelli degli investitori che le davano fiducia. Lo aveva proclamato la commissione d’inchiesta del Senato, chiamando a rispondere il “capo di tutti i capi”, il Ceo Lloyd Blankfein e il presidente Gary Cohn. Persino Paul Volker, l’ex presidente della Federal Reserve, la banca centrale, non un nemico della finanza, aveva tentato di imporre una “Regola Volker” contro l’uso del danaro dei clienti per «scommettere soldi» a beneficio della banca. Volker ha benedetto la denuncia dell’ex campione di ping pong pentito, come «radicale, ma sostanziale». La regola Volker non fu mai introdotta e alla guida della Fed, il suo posto fu preso da Alan Greenspan, assai più tenero con gli eccessi e le acrobazie del «nuovo paradigma», dell’illusione di fare soldi con i soldi, in quell’immenso “Schema Ponzi” che crollò nel 2008 risucchiando l’America e l’Europa. Prima fra tutti quella Grecia che proprio alla Goldman Sachs aveva affidato i propri libri contabili per nascondere le truffe del governo di Atene.
Che la “fibra etica” di queste banche d’investimento si fosse «deteriorata», come ha scritto nella sua denuncia il giovane dirigente pentito, sembra davvero la scoperta dell’acqua calda. La Goldman Sachs, con tono doverosamente compunto, ha smentito e deplorato in un comunicato ufficiale e molti, a Wall Street, oggi licenziano l’indignazione morale del direttore «servizio derivati» a Londra, come «uva acerba». Sarebbe soltanto il rancore di chi, dopo quasi 13 anni di carriera massacrante in aziende che chiedono a tutti di dimenticare vita e famiglia per dedicarsi soltanto ad aumentare gli affari, ancora non aveva fatto il salto all’incarico, ben più remunerativo, di “managing director”, di direttore responsabile. Il livello al quale la divisione del bottino, dei “bonus” di fine anno è più succulenta. Il “pentito” aveva una retribuzione annua lorda di 750 mila dollari, non proprio una miseria, ma in questo universo dove scorrono milioni, tutto è relativo. E per il 2011 anche la distribuzione dei bonus è stata in molti casi, come alla più conservatrice Morgan Stanley, la principale concorrente di Goldman, annullata, rinviata o ridotta drasticamente.
Erano sempre più dollari di quanti avessero comunque incassato i profughi cacciati dal paradiso terrestre in quel settembre 2008 di lacrime e sangue, quando 200 mila uomini e donne, secondo l’agenzia finanziaria Bloomberg, persero il lavoro e 40 mila di loro furono buttati sui marciapiedi di Times Square alle 5 della sera di venerdì 19 settembre, con la scatola di cartone in braccio, il ritratto dei figli con il cane, le foto del viaggio di nozze e un pacco di azioni e di stock options che valevano meno del cartone. Gli angeli, i «padroni dell’universo» caduti dal loro impero non sarebbero più stati riaccolti, perché nel paradiso perduto non si rientra mai.
Molti di loro, perduti i soldi, hanno trovato Dio, sentendo improvvise vocazioni pastorali. Alcune centinaia si sono iscritti a facoltà  di teologia e sono divenuti pastori in chiese protestanti, nessuno in seminari cattolici, troppo esigenti. Adam Greene, della Lehman Brothers, non attese neppure il diluvio universale per sentire il richiamo. Già  nel 2007, quando soltanto pochi “insider” avevano avvertito le prime gocce cadere, lasciò il suo BlackBerry, gli abiti italiani, la Bmw M3 obbligatoria in quel mondo, il milione e mezzo di bonus, seguì corsi alla Texas Christian University e oggi è stato ordinato e lavora come direttore spirituale e insegnante di religione alla Bellaire High School del Texas, per 28 mila lordi all’anno, più la refezione in mense. Mancette, ma sicure. Un vecchio e malizioso motto popolare avverte che «in America nessuno ha mai fatto bancarotta vendendo religione».
Meno devota, Rina Lazar, già  apprezzatissima analista alla Merril Lynch, abbandonò i bilanci e i calcoli sulla profittabilità  delle aziende quotate per darsi alla cucina, ma non casalinga. Guadagna discretamente, 80 mila dollari all’anno in commissioni sulle vendite di apparecchi per cucine “gourmet”, da buongustaio, della società  “The Pampered Chef”, il cuoco viziato. Il suo reddito è meno di un ventesimo di quanto sparecchiava a Wall Street «ma la mia vita vale almeno il 300% in più» dice ora, sempre con il tic delle cifre e delle percentuali.
Oltre cinquemila ex banchieri d’alto rango si sono trasformati in insegnanti, e non di auguste facoltà  di economia, ma di elementari, medie, licei. accettando stipendi mensili equivalenti a quando guadagnavano in una settimana quando regnavano alla Lehman Brothers, alla Merril Lynch, alla Morgan Stanley. Appassita la breve gioia di potersi finalmente occupare di una famiglia e di vedere crescere figli conosciuti a stento nei giorni del weekend fino ad allora, migliaia di matrimoni sono naufragati, sotto il peso di responsabilità  finanziarie, mutui faraonici, auto di lusso, scuole private con rette da rapina, vacanze, non più sostenibili con introiti da reverendo o da maestro. Il tasso di divorzi fra gli ex “padroni dell’universo” dopo il 2008 è il doppio della media nazionale.
Nelle prime ore dopo lo shock provocato da quella lettera al New York Times di Greg Smith, istantaneamente girata via e-mail a tutto il mondo delle banche e della finanza, il titolo della Goldman Sachs era caduto in un burrone, perdendo quello che mai aveva perso dal “settembre nero” 2008, il 3% di valore. Una banca d’investimenti come quella, costruita in anni di successi, reclutando i migliori, distribuendo poi i propri uomini nei governi e nei ministeri di massima importanza nel mondo, si regge su un solo, vero prodotto: la fiducia. La certezza che la Goldman Sachs sia quanto di più vicino possa esistere al sogno di tutti gli investitori, gli speculatori e i giocatori di roulette: «The sure thing», il colpo sicuro. «Oggi la Goldman ha un serio problema di credibilità  e di trasparenza», ha ammonito da Yale il professor Jeffrey Sonnenfled, un’autorità  indiscussa, «e deve riconoscerlo».
L’ex campione di tennis da tavolo, che aveva sempre vissuto, nonostante i guadagni, una vita frugale, è diventato il campione degli angeli caduti, e dei “muppets”, dei pupazzetti, come la Grecia, manipolati, spremuti e poi scaricati. Ma non troverà  più lavoro in questa industria. Gli resterà  sempre il Signore, certamente più misericordioso dei clienti e dei risparmiatori tosati.


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