Per Pechino e Washington “la guerra è una scelta”

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Se i marines arrivano in Australia, ci sono manovre militari congiunte tra Vietnam e gli antichi nemici yankee e la US Navy pattuglia l’Oceano Indiano, non si vuole così isolare la Cina? Meglio annunciare un aumento alle spese militari dell’11,2%, per un totale di 85 miliardi di euro (e restano fuori le milizie paramilitari). Altrettanto sostengono i falchi di Washington, per una volta però volando assieme alle colombe: studiosi come Kaplan vedono la guerra avvicinarsi con i monsoni dal Pacifico allo Stretto di Hormuz, a sinistra si crede che l’espansionismo cinese e la mancanza di diritti civili, vedi Tibet, finiranno in un conflitto. Insomma per interessi economici, geopolitica, cultura e valori, è «inevitabile» la guerra Usa-Cina?
Per scongiurare la catastrofe della III guerra mondiale, la prima del XXI secolo, interviene il decano della diplomazia Henry Kissinger, con il saggio «The future of U. S. Chinese relations», che qui anticipiamo dal prossimo numero della rivista Foreign Affairs, e che già  sta facendo discutere Casa Bianca e Dipartimento di Stato. Con toni insolitamente appassionati per un cultore della gelida Realpolitik come l’ex segretario di Stato, capace negli Anni 70 di aprire alla Cina, favorire il golpe in Cile, bombardare la Cambogia, chiudere la guerra in Vietnam, scontrarsi con il premier italiano Moro, Kissinger scrive che la guerra può scoppiare, «ma sarà  una scelta, non una necessità ». Dopo aver criticato gli oltranzisti di Pechino e Washington, Kissinger compie il passo più astuto del buon stratega, cerca di capire quali sono le paure dei contendenti che possano scatenare mosse azzardate. La paura cinese, scrive, è essere accerchiati nei confini nazionali, senza accesso alle vie dei commerci e della comunicazione globale: ogni volta che la fobia scatta, Pechino va in guerra, Corea 1950, India 1962, Urss 1969, Vietnam 1979. La speculare angoscia americana è perdere accesso e influenza sull’Oceano Pacifico, e Kissinger, profugo europeo da bambino, ricorda che solo questo fattore trascina gli Usa in guerra nel 1941.
La preoccupazione di Kissinger è che le due capitali stiano leggendo male le rispettive culture. Se uno studioso come Aaron Friedberg scrive che è indispensabile una «Cina democratica» per restare in pace con gli Stati Uniti e che, di conseguenza, Washington deve sostenere i dissidenti contro il Partito comunista, è possibile che Pechino interpreti la mossa come un’aggressione politica. Reagiscono allora gli strateghi aggressivi alla Long Tao dell’Università  Zhejiang, persuaso che la Cina, duellante oggi più debole, non può che colpire per prima, magari in conflitti locali ma che dissuadano l’America dalla guerra globale. E già  Long Tao ha invitato Pechino a colpire nel Mar Cinese Meridionale.
Con freddezza che impressiona, Kissinger, l’uomo che col presidente Nixon ha riportato la Cina nel mondo e isolato l’Urss ai tempi della Guerra Fredda, ammonisce i rivali: non fatevi illusioni, lo scontro sarebbe nucleare, feroce e vi indebolirebbe entrambi per sempre. Devastando città  ed economia e paralizzando anche, per la prima volta nella storia dell’umanità  grazie alla cyber guerra, Internet e le comunicazioni, satelliti tv, Gps inclusi. «Le stesse culture» cinesi ed americane, conclude Kissinger, porterebbero i duellanti a non darsi tregua fino in fondo, lasciandosi alle spalle macerie e vittime.
Né è possibile una strategia di «contenimento» della Cina, come quella che George Kennan disegnò per la Russia, perché l’Urss non costituì mai pericolo economico per gli Usa, solo militare, al contrario della Cina superpotenza industriale e finanziaria. L’alternativa alle armi è l’idea di una «Comunità  del Pacifico», con Pechino e Washington a convivere intorno ad organizzazioni tipo Trans-Pacific Partnership, zona di libero scambio economico cui il presidente Obama vuole associare la Cina. Se i due ultimi giganti si legano reciprocamente – sul modello di Usa e Europa – possono risolvere i conflitti negoziando, magari con maratone diplomatiche estenuanti. Washington, Londra, Parigi, Berlino e Roma possono dividersi e riunirsi, ma senza spargere mai sangue.
Presto la dissennata politica cinese di un solo bambino a famiglia vedrà , conclude Kissinger, «quattro nonni competere per l’attenzione di un solo figlio o nipote», la Cina dovrà  dividere la ricchezza acquisita su una popolazione tre volte maggiore degli Usa e ormai in media più vecchia. Con l’ascesa al potere di Xi Jinping, nato nel 1953, la Cina, dal vertice ai villaggi, sarà  governata da una generazione di leader che non ha conosciuto guerra civile, povertà , violenza: sarà  possibile coinvolgerla nella pace, pur di non provocarla a dimostrare di essere patriottica come padri e nonni della Lunga Marcia. È la scommessa più grave del nostro tempo.


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