Terzi: marò costretti a scendere a terra

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ROMA — Il contrasto diplomatico tra Italia e Gran Bretagna sulla fallita incursione nigeriano-britannica a Sokoto, che ha portato l’8 marzo alla morte del sequestrato italiano Franco Lamolinara, è calato ulteriormente di intensità . Salvo imprevisti, potrebbe avvicinarsi alla chiusura quando nei prossimi giorni sarà  a Roma il ministro degli Esteri del Regno Unito William Hague. Resta invece del tutto aperto il contenzioso con l’India su chi dovrà  giudicare Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i marò arrestati nello Stato indiano del Kerala con l’accusa di aver ucciso il 15 febbraio due pescatori scambiandoli per pirati.
Nell’aula del Senato, il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha dato conto ieri dello stato dei due casi rivendicando che non è stata soltanto la Farnesina a occuparsi dei marò e addebitando a «un sotterfugio della polizia locale» se la petroliera italiana Enrica Lexie con i fucilieri a bordo si è spostata dalle acque internazionali, dove aveva respinto un’imbarcazione ritenuta sospetta, al porto indiano di Kochi. È in quella città  del Kerala che i fucilieri del San Marco sono stati fatti scendere, ha sottolineato Terzi, con un’«azione coercitiva» culminata nel fermo dei due italiani. La determinazione del ministro nell’evidenziare quest’aspetto è stata tale da fargli dire: «La consegna e la discesa a terra dei marò sono avvenute nonostante un’opposizione fermamente opposta dalle nostre autorità  diplomatiche e militari presenti sulla Enrica Lexie».
Terzi era stato accusato da parlamentari di non aver gestito bene il caso. A Palazzo Madama il ministro ha risposto sostenendo che è stato il Centro di coordinamento per la sicurezza in mare di Mumbay a chiedere al comandante della petroliera di andare a Kochi per «il riconoscimento di alcuni sospetti pirati». A riprova che la scelta non è stata della diplomazia, il ministro ha aggiunto che il comandante della nave, autorizzato dall’armatore, «decideva di dirigere in porto e il comandante della squadra navale e il Centro interoperativo interforze della Difesa non avanzavano obiezioni». Come a dire: e la Difesa?
«Da ministro degli Esteri, non avevo titolo né autorità  né influenza per modificare la decisione del comandante della Enrica Lexie», ha continuato Terzi. Una prospettiva si sta delineando già : dal Pdl al Pd, si rafforza l’orientamento a rivedere la legislazione che ha portato a mettere marò di scorta alle navi a rischio di assalti di pirati. Una normativa con buchi, in una materia impervia che ieri ha indotto in errore anche l’Alto rappresentante per la politica estera europea Catherine Ashton. Dopo un incontro con Mario Monti che le ha chiesto di nuovo di agire per il rilascio dei marò, questi sono stati definiti in un comunicato dell’ufficio della baronessa «guardie private». Poi, correzione. La svista non fa brillare l’impegno dell’Alto rappresentante.
Sul blitz contro i rapitori in Nigeria, Terzi ha riferito che l’ambasciatore britannico a Roma Christopher Prentice ne ha dato «comunicazione formale» alle 11.30 dell’8 marzo al sottosegretario a Palazzo Chigi Antonio Catricalà  e alle 13.30 al segretario generale della Farnesina Giampiero Massolo: «Prentice veniva informato dell’esito dell’operazione solo successivamente», e ha ricontattato Massolo dalle 15.30. Ad Hague, Terzi ha sottolineato già  «l’inaccettabilità  per l’Italia di non aver avuto indicazioni precise». Ma il «ritardo» della comunicazione — è la spiegazione che ha attribuito al collega di Londra — non sarebbe stato «intenzionale» né dettato dal «timore» che l’Italia si sarebbe potuta «opporre» al blitz, quanto invece dal «precipitare della situazione». Se ne riparlerà . Intanto Terzi ha fatto presente che, mentre nel mondo «migliaia di italiani sono esposti a gravi minacce», i fondi per la sua Unità  di crisi sono calati da 7 milioni e mezzo del 2006 a 5 del 2011.


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